|
Durante le guerre sannitiche
La seconda guerra sannitica ebbe come principale
teatro di operazioni il Matese, e la nostra terra fu
il passaggio obbligato dei due eserciti in lotta.
Dopo la prima sconfitta dei Sanniti e la loro
ritirata a Benevento nel 314 a.C., il Matese
Tifernus mons, rimase abbandonato ai Romani.
Questi, fin dal 326, avevano occupato Rufrae
(Presenzano), Allifae e Callifae col
loro territorio.
Ormai conoscevano il nostro massiccio.
Durante l'inverno 314-13 ci fu un temporaneo assedio
a Bojano Bovianum
Undecimanorum, ed è per
l'antica pista delle greggi
Alife-Piedimonte-Castello-S.
Gregorio-Lago-Perrone-Guardiaregia, che avvenne il
passaggio dei legionari.
Due anni dopo si combatté di nuovo nel Pedemontano,
«la porta da cui i Sanniti dilagavano di solito
nella Campania», come ben dice il Verrecchia. Un
presidio romano assediato a Cluvia, fu massacrato,
quando si arrese per fame. Ma nel 311 il castello fu
riconquistato dal console Giunio Bubulco, che vi
uccise tutti i maschi omnes puberes dai 14
anni in su (IX, 31). L'assedio fu riportato a Boiano,
che fu presa.
Ma dov'era Cluvia?
Da
Livio appare che aveva mura, che vi era una popolazione civile,
che non era grande, «ma era posta in posizione
strategica di grande importanza ... sulla via che
menava dalla Campania a Boiano dei Pentri>>.
Ora, per valicare il Matese da Alife a Boiano non vi
è che una strada fino al lago, divergente da S.
Gregorio per il Raspato e Pretemorto. Dal Lago si
poteva procedere o per l'Esule e Campitello
(sentiero-centrale), o divergendo a sinistra di M.
Miletto per Séccine e Roccamandolfi, o a destra di
M. Gallinola per il Perrone e Guardiaregia (Pista
delle greggi), ed anche per il Perrone, Campo della
Borea, S. Egidio.
Qui si può cercare Cluvia, da altri pensata altrove.
Siamo nel quarto secolo. È essa l'abitato
preistorico sul Cila? O è Castello come propone
qualche studioso?
Certo, era uno dei
molti castelli conquistati dal console C. Marcio
Rutilo nel 310. Né poteva sorgere in luogo troppo
isolato o troppo distante dalla linea Alife-Boiano.
Si escluderebbe in parte l'abitato megalitico di
Letino, e allora siamo obbligati a fermarci o su
Piedimonte-S. Giovanni, o su Castello, o su Cila
stesso. Di più particolare credo non si possa dire.
Certo fu distrutta allora, e qualche gruppo di sue
famiglie, la gens Cluvia,
si trapiantò in Alife dove si nobilitò, e fece anche splendide
carriere durante l'impero.
Quanta importanza strategica avesse il Matese è
chiaro. Boiano era una testa di ponte minacciosa nel
cuore del Sannio Pentro, e per tenerla occorreva una
congiungente da Alife. Si capisce che, caduta Alife,
il Matese sarebbe ricaduto automaticamente ai
Sanniti, e il presidio romano a Boiano doveva subito
filar via, ammesso che lo avesse potuto. Perciò
tanto accanimento romano per Alife.
Proprio questo avvenne l'anno dopo, il 310, da parte
dei Sanniti biancovestiti, ma la riconquista romana
fu immediata. Il console C. Mario Rutilo «tolse con
la forza ai Sanniti Alife, e molti altri castelli e
villaggi o furono crudelmente distrutti o colla resa
vennero in potere dei Romani» (IX, 38). Dunque ecco
l'esistenza non di Alife soltanto ma di «molti
castelli e villaggi» in questa zona. Le numerose
tombe militari trovate a S. Croce (S. Gregorio),
quando si costruiva la 76, devono essere di questo
periodo. Soldati caduti in uno dei tanti feroci
scontri fra i robusti montanari del Sannio e gli
allenati soldati di Roma.
I Sanniti, montani atque agrestes (IX, 13),
incassavano bene, si direbbe oggi. Le pigliavano, ma
non cedevano. Nel 309 ci fu una nuova loro
incursione sul Matese, e stavolta il console Rutilo
vi fu battuto e ributtato in basso. Cadde Alife e
tutto il territorio. Ma ecco nel 307, più duro che
mai, il console Quinto Fabio Massimo Rulliano.
Se il Sannio era duro, Roma non scherzava.
Una terza battaglia vi fu presso Alife nel 307, e in
essa si lottò corpo a corpo per un'intera giornata.
Caduta la notte, i Sanniti esauriti (non pensando
che i Romani lo erano altrettanto) in parte salirono
sui nostri monti, ma la maggior parte si chiuse
nell'accampamento, e si arrese la mattina dopo. Si
ripetette nella nostra pianura la scena avvilente
delle Forche Caudine, ma all'inverso. I Sanniti
stavolta si curvarono sotto il giogo: hi omnes
sub jugum missi (IX, 42). 7.000 Sanniti e
alleati furono venduti schiavi. E così proprio nel
Medio Volturno furono scoperti gli aiuti segreti di
gente, come gli Ernici, che faceva due facce!
Tutti sanno dell'umiliazione imposta dai Sanniti ai
Romani, alle Forche Caudine, nessuno sa
dell'identica umiliazione imposta dai Romani ai
Sanniti nel Medio Volturno.
La guerra era a morte. Sempre più grande si faceva
la miseria dei Sanniti, dice il Mommsen,
sempre più disperata diveniva la lotta. I Romani non
facevano più prigionieri, ammazzavano tutti. I
Sanniti, erano stati essi i primi a inferocire,
trucidavano pure chi si arrendeva. Ma, senza
tecnica, con armamento inferiore, la gioventù
sannita, temibile nell'urto, si faceva pigliare in
mezzo, e veniva di regola falciata, sempre però dopo
aver lottato disperatamente ed ucciso.
Che impressione facessero ai Romani le nostre
montagne selvose, abbandonate, piene di neve e
d'insidie, s'intuisce da quella qualifica che Livio
dà al Matese:
iniquitas loei (X, 30). Luoghi aspri, pericolosi, terribili!
Nel 305, nuova battaglia. Il console Postumio,
salendo da Alife sul Matese, ha seguito il collega
Minucio per ricongiungersi con lui presso Boiano. I
Sanniti lo seguono, e si accampano a due miglia da
lui. Il posto potrebbe anche essere la piana
centrale fra S. Maria e Campo Majuri.
Postumio lascia nell'accampamento parte dei soldati,
e con la maggior parte di essi senza zaino,
expediti, dopo mezzanotte, raggiunge in tre ore,
per la via più diretta il collega Minucio. Nessuno
se n'è accorto. A Boiano, Romani e Sanniti già si
sono attaccati. Postumio fa riposare i suoi, poi li
lancia nella lotta contro gli stanchi nemici. Lotta
disperata e massacro! 26 bandiere prese, il generale
sannita Stazio Gellio prigioniero, e Boiano
s'arrende (IX, 44).
Dopo questa vittoria il nostro territorio sulla
sinistra del Volturno rimase ai Romani.
Nel 298 inizia la terza guerra. Come il Sannio si
muove, compaiono qui i consoli Q. Fabio Rulliano e
P. Decio Mure. E a Sentino nel 295, i nostri rozzi
giovanotti, di fronte ad un attacco combinato dei
due, si fanno pigliare in mezzo, pur dopo
travolgenti corpo a corpo, e quelli fra essi che
restano in piedi, scappano al solito sul Matese.
Nel 295 l'ultima feroce testata dei Sanniti che
scendono dal Matese di qui, saccheggiando e
uccidendo, arrivano fino a Calvi Risorta, Cales,
poi il Matese rimane stabilmente in mano romana e,
perduta questa roccaforte, tutto il Sannio arretra,
fino alla sua fine, nel 290, dopo tanto sangue.
Durante la seconda guerra punica
Seguo sempre Livio, e un po' anche Polibio.
Proveniente dagli Irpini e da Benevento, ecco
comparire Annibale. Prese Telese d'assalto e,
passando sul Titerno per Torre dei Marafi, entrò
nella nostra pianura. Secondo Polibio (III, 92): «catà
tòn Eribianòn caloùmenon lòfon» e «ton Atirnón
potamòn»: il primo potrebbe essere il monte Erbano,
l'altro il Volturno.
Siamo nel 216. Era esercito e orda
quello di Annibale, era una provocazione sprezzante
a Roma per averla a battaglia campale; era la
distruzione dell'Italia fedele, e la corruzione
delle plebi tentennanti. Forse fu da noi che avvenne
l'errore della guida che confuse Casinum con
Casilinum (Capua). Annibale voleva Cassino, la guida capì
l'altra, sbagliò via dopo i Quattro Venti, e fu
messa in croce (XXII, 13).
Arriva Fabio Massimo, e blocca il Cartaginese
senza cuore.
Ma, 2000 bovi, di notte, sulle cui corna stavano
fascine accese, indirizzati in collina tengono in
apprensione i Romani, ed egli, attraverso monte
Maggiore e le colline di Dragoni, ricompare presso Alife e si accampa
nella nostra pianura (XXII, 17).
Ci fu
un principio di battaglia, ma si trattò solo di un rapido assalto di
avanguardie spagnuole che inflissero perdite ai Romani. Ma ecco Fabio
Massimo. E il bosco, saltus? È possibile che abbia seguito la
stessa via del nemico, abbia superato un valico, poi la selva di Alife e per S. Potito e Piedimonte,
sarà salito sul colle-fortezza di Cila (XXII, 18).
Questo fu tutto, quanto a operazioni militari. Aggirando il Matese per
Pratella, Capriati e Isernia, il nemico se ne andò verso la Puglia.
Ma il
nazionalista Livio non dice che il partito popolare prevalse in Alife -
come altrove -, che la città si ribellò a Roma
dandosi al Cartaginese. Questo si desume dalla punizione che Roma dette
alla fine della guerra (202) a tutte le città che avevano tradito, fra
cui Allifae, Trebula (Treglia), Venafrum: praefectura sine
suffragio. Sudditi con cittadini, senza voto, senza eleggibilità.
Da allora, per secoli, fin quasi all'Impero, tutta la nostra zona, eccetto
l'eroica Telese, non ebbe diritti politici, i magistrati venivano
imposti da Roma, e tutto il territorio era dello Stato, e i boschi erano
sfruttati da appaltatori che pagavano all'erario. Tutte conseguenze di
atti inconsulti di plebi, o di calcoli opportunistici, o di vecchio odio
sannitico antiromano.
Nellepoca romana
Benché Roma avesse occupato queste terre dal 290 a. Cr.,
la latinizzazione avvenne più tardi. Cominciò allepoca della
colonia in Alife nel I secolo, e fu completata solo coll'Impero. Ancora
nel 90 a. C. qui non si parlava latino ma osco.
Premetto appena un cenno
sulle conseguenze locali delle guerre civili. Quando L. Cornelio
Silla congedò i suoi 80.000 veterani, ognuno di essi assunse il
nome Cornelius, ed ebbe un pezzo di terra. Ebbene qualcuno
capitò anche nel Pedemontano.
L'attuale Madonna del Pozzo
era fino al '700 Cornigliano, Cornelianum, il nome della
fattoria romana di uno di questi Cornelii, il cui nome tuttora esiste
nella zona. Non certo però come vorrebbe il Trutta: non era una villa
patrizia, ma semplicemente un fondo praedium, dato dietro
esproprio, ad uno di questi umili ma fedeli combattenti.
Che durante l'Impero Piedimonte
esistesse, sia pur come piccolo villaggio, pagus, ne abbiamo
conferma da iscrizioni trovate sul posto. Tranne quella del calendario
alifano trovata presso l'attuale stazione ferroviaria, esse non sono
state portate qui da Alife, e ciò è ammesso anche dal Trutta e dal grande
Mommsen. Vi si parla di persone diverse, al massimo di parenti come
nelle lapidi 7, 8 e 11.
Proprio nell'antica Piedimonte, presso
S. Maria Maggiore:
1° GERM.-DIVI AUG.-AUGUR (mutila).
2° L. PACILL.-LABEO.
3° D.M.S.-NUMISIAE DIAE-CONIUGI.QUAE.VIXIT ANNIS.XXX.M.IIII.ET .PLOTIAE.TERTULAE.
Sull'altro versante del Rivo:
4° T.IULIO.DEXTRO-FILIO.DULCISSIMO-ADOLOS. PIENTISSIMO-QUI.VIXIT .ANN
... -MEN.V - IULIA.TATIA- NA-MATER M.P.
5° VITALI AEDIAE SERVILIAE-SERVO.VIXIT.AN. XXIV. Presso il Cimitero:
6° L. CLAETILIO L. F. Nelle campagne di Vallata:
7° FABIA.M.L.LEUCA-SIBI. ET-AURUNCULEO-FAUSTO-FABIAE.L.VENUSTAE-FABIAE
... L. PRIMAE-TESTAMENTO.
8° D.M.S.-C.FADIO.SUCCESSO-FABIA.FELICITAS-CONIUGI.BENE-MERENTI-FECIT.
9° PLOTIAE.P.F.-DD.
10° P. FUFICIO-P.F.POLLON...-FILIO.MEO.-GN.CLUVIO-C.F.VIRO-HERNIA.C.F.RUFA.FECIT.H.M.H.N.S.
11° D.M.-C.FADI.FELERNI-VIXIT.ANNIS.DU-OBUS.MENSIB.V -DIEBUS XX-F
ADIA.STEPHA- NIA-MATER-PIENTISSIMA.
12° (mutila )M.A. ... -AEDIV ........DESTITI.C......
13° (mutila)....DIUS.M.F.BA......L.CAESARIS.AUGUSTI.
14° .........OPON-XIII.PAT.
Tranne le tre dedicatorie 1, 13 e 14,
sono tutte sepolcrali, e la maggior parte è stata trovata nelle
campagne di Vallata. Anzi la
stessa 3, trovata presso l'antica S. Maria, è stata portata lì in
epoca posteriore, non potendo stare nell'abitato. Interessante la 10 che ci ricorda i Cluvii.
Non vi sono solo tombe nel Pedemontano, ma case e fattorie. Tracce se ne trovarono, e trovano, a
Madonna del Pozzo, un'altra presso Toranello-Maretto (di una Iulia liberta
di un Gaio), presso la stazione (di un Cassio), per la strada vecchia di
Alife, in vari punti di S. Potito, ecc, Qualcuna di esse aveva il suo
piccolo criptoportico. Altro edificio romano era un piccolo tempio sotto
la rupe pedemontana (ov'è oggi S. Domenico), di cui è rimasta la
trabeazione di triglifi e metope. Pare fosse dedicato ad Apollo, che
insieme a Marte, pare fosse il dio tutelare di Piedimonte. Il Paterno ce
lo ricorda: «A pié di monte, il cui bell'aere mena - e di Marte e di
Febo i pregi insieme ... », e lo ricorda anche una iscrizione molto
posteriore:
«Anhelos siste gressus viator ... nisi prius Marti Foeboque
sacram veneraberis terram ». Stava al museo, forse rispecchia una tradizione, ma è
falsa. Dall'alveo del Maretto uscirono due colonne scanalate, oggi
murate nel pal. Laurenza; un interessante bassorilievo colla figura del
dio Vertumnus stava presso il cancello della proprietà
Ventriglia ai Pioppetelli; e qua e là è uscita numerosa altra roba.
Emerge un altorilievo trovato a S. Potito, proprietà Loffreda. Peccato sia solo un frammento,
per cui è difficile inquadrarlo come parte precisa di una stele, fascia o frontone.
Potrebbe essere una stele funeraria di gente nobile. Ha espressione e soprattutto movimento nella figura
maschile, muscolosa e armonica. Tipica acconciatura a cipolla e
panneggio mosso ha la figura femminile. L'altorilievo per
!'impressionismo e il movimento è opera della decadenza romana, fra il
terzo e il quinto secolo.
Dunque questa terra pedemontana,
durante lImpero aveva un suo piccolo centro ed una campagna
fittamente abitata. Difficile dire se la cinta di difesa era su per giù
quella medioevale o girasse anche sotto la rupe, comprendendo il tempio
di Apollo (S. Domenico).
Molto interessanti nel Pedemontano erano
gli acquedotti.
Quello di capo Torano era imponente.
L'apertura degli archi era di m. 1,20 circa, e l'altezza dal suolo di
circa 6-7 metri. Doveva apparire meravigliosa la lunghissima fila di
archi lungo la valle, così slanciati e forti, e sui quali passava
l'acqua del Torano che andava a dissetare la rinnovata Alife. Non
sembrava possibile che un Municipio avesse potuto spender tanto. Era
vigilato da un apposito magistrato eletto dal Decurionato, e sappiamo di
un Marco Granio, curator aquae ducendae Allifis.
Costeggiava la destra del Torano, quasi
come l'acquedotto moderno di Piedimonte, passava dov'è l'attuale chiesa
di S. Maria, superava il Rivo dirigendosi alla Madonna delle Grazie per
non perdere quota, di qui deviava a sinistra in una grande curva, e per
l'attuale via Paterno e S. Pietro in Folliscio, s'indirizzava ad Alife,
dove entrava vicino all'attuale porta Piedimonte. La conduttura era in
cemento romano, cioè calce e polvere di mattoni, impermeabile e
durissima. L'interno era alto m. 1,45, e
largo m. 0,75. L'epoca più probabile di costruzione sembra alla fine
del primo secolo dellimpero, o al massimo al secondo. Da Capo Torano
ne partiva un altro, sulla sinistra e si dirigerva a Sepicciano. Altri
due, piccoli, partivano dalla sorgente del Maretto in diverse direzioni. |