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Fino al feudalesimo
Nessuna traccia di Piedimonte nelle
epoche barbariche, del resto oscure
dovunque. Durante il lungo periodo
longobardo (568-1037) appare qualcosa.
Il Regno d'Italia longobardo fu diviso
in 36 ducati. Il nostro, estesissimo,
era quello di Benevento. Ogni duca dette
parte del proprio territorio al Re.
Funzionari regi erano i gastaldi, e
ducali gli sculdasci. Cosicché, se
Telese (che fu distrutta l'847 e l'864)
aveva un gastaldo, è chiaro che era
territorio regio. La nostra zona era
invece ducale, e ciò si ricava sia dai
documenti in cui appare il principe
longobardo in nome del quale si agiva,
sia dall'azione di questi principi che
fondarono monasteri nel nostro
territorio, ad esempio S. Salvatore, per
ordine di Arechi II, Principe di
Benevento e sia perché l'attuazione era
affidata a sculdasci.
Fondata nel IX secolo la contea
longobarda di Alife, Piedimonte vi fece
parte. Qual era la condizione dei
nostri? Molto giù come civiltà, non
cattiva per quelli che erano i bisogni
elementari. La bolla di Alfano,
arcivescovo di Benevento a Vito vescovo
di Alife, è diretta «clero ordini et plebi consistenti in Allifis»: al clero,
alla nobiltà, al popolo.
Dunque tutto vi era costituito. Altre
notizie storiche non vi sono. Dopo il
Mille l'arte romanica s'è diffusa anche
fra noi, ed è testimoniata dalla
colonnina murata in un edificio locale.
Benevento era il nostro capoluogo - anzi
capitale, e metropoli ecclesiastica del
principato - e nell'abbondanza di
documenti beneventani si vede tutta una
direzione di interessi verso Benevento,
situazione che cambiò nel '200 quando,
aggregati al giustizierato di Capua, i
nostri interessi presero la direzione di
Terra di Lavoro.
Il nome di Piedimonte
Di documenti che accennano in qualche
modo alla nostra terra ve ne sono due,
redatti quasi alla fine del dominio
longobardo:
1) Diploma del principe Pandolfo
di Benevento, il 18 dicembre 977, che
dona al
Monastero di S. Maria in Cingla
presso Ailano, alcune curtis o terre,
fra l'altro in Sepeczano;
2) Accordo fra Vito vescovo di
Alife e il Monastero di S. Maria in Cingla,
stipulato il 1020;
le cinque pezze di terre date da
Benedetto presbitero ad Audemundo si
trovavano a S. Colombano, a Brellanico,
a Sepicciano, a Scarpellano, a
Piedimonte,
quinta
vero ad Pedes de monte ubi
dicitur ad pentuma et petra cupa, era
flubio Torano. Dunque anche
il nome, del resto così caratteristico,
è anteriore al Mille.
La terra
Colla venuta dei Normanni e il
conseguente feudalesimo i territori
meridionali si frazionarono. Fare e
Curti erano gli abitati e le grandi
aziende, legati tramite funzionari, già
ai duchi e poi ai principi. Ad essi
succedono i feudi. Questi sono sempre
legati alla corona, ma siccome risultano
dall'unione ed amplificazione delle
precedenti entità amministrative ed
economiche longobarde, ed hanno in più
l'immunità, acquistano una grande
autonomia che assume presto un aspetto
completo economico, sociale, militare e
giuridico.
E di allora, alla metà del secolo XI,
la fine di ogni dipendenza di Piedimonte
da Alife. Fu allora che fu riconosciuta
la «Terra» di Piedimonte, la signoria,
che, pigliando una piccola parte del
campo alifano, veniva però a comprendere
una grande estensione di terreno
montuoso al centro del Matese.
Questa baronia, vastissima nella parte
montagnosa, costituiva una «terra», e
Piedimonte era una «grossa terra».
«Corpo della terra>> era l'abitato
pedemontano ristretto all'attuale
quartiere S. Giovanni, di un'ottima
posizione difensiva, cintato dalla parte
del Torano da un alto e poderoso
bastione che iniziava dall'attuale
sopportico o soppegno dell'allora
castello (oggi palazzo ducale), e
passando avanti al palazzo Pierleone
(oggi D'Amore), continuando sull'attuale
navata sinistra di S. Maria, seguendo
insomma quasi l'acquedotto moderno,
raggiungeva l'altra porta poco prima
della grotta di S. Arcangelo, dirimpetto
al ponte.
Piedimonte aveva dunque tre porte: una
sul Rivo, con ponte levatoio, e che
conduceva a Cila, un'altra presso il
castello da cui una viuzza scendeva a
lato del convento di S. Domenico, detta
i Perruni, poi Strettoia, ripidissima, e
una terza alle « pinteme» del ponte di
S. Arcangelo. Non è sicura una quarta
porta al Migliarulo. Oggi tutto è
cambiato profondamente.
Fin dal 700, e proprio per costruire
lattuale S. Maria, fu abbattuto
l'ultimo resto di bastione, quando a
colpi di scalpello fu arretrata la rupe
sotto le Logge, e quando si costruirono
le attuali rampe di S. Maria e di
Palazzo ducale.
Questo muraglione fu fatto diroccare nel
1437, dal cardinale Vitelleschi, dal
castello fin sopra il mulino (ramiera),
cioè fino alla foce della valle del
Torano.
Fu ricostruita nel 1471. Secondo il
Trutta nel suo manoscritto « Quattro
Secoli », i canonici di S. Maria
anticiparono il denaro, vendendo alcuni
terreni incolti, saude a Escheta (att.
Squedre), con strumento 31 marzo 1471
del Notaio Gasp. Di Giorgio. C'è della
esagerazione. Per l'infimo costo della
terra, i canonici, se mai,
contribuirono, dato il pericolo maggiore
per S. Maria, ma non sopportarono solo
essi tale rilevante spesa. Anche
l'interno del piccolo borgo variava
alquanto.
Centro era la zona, oggi di Piazzetta -
S. Maria Vecchia. Qui c'era l'unica
grande entrata al castello, e v'era il
«Seggio» ove si facevano le elezioni, si
riuniva il Parlamento locale, e si
conservavano le misure e i depositi di
vettovaglie, c'era la chiesa madre di S.
Maria Maggiore e la Corte di Giustizia e
i portici, oggi murati (sotto le case di
Mundo e Santangelo). Era in fondo una
via in cui il lunedì e giovedì si
svolgevano i mercati, e una volta l'anno
le elezioni, e per dove passavano
processioni e cavalcate.
Il corso principale saliva verso la
parte più alta a gradinate, ma strette
traverse, diritte, tagliavano, come ora,
il terreno acclive, dirigendosi verso il
Pizzone (S. Lucia
ad
montes), proprio a picco
sulla valle del Torano.
Il corso principale saliva perciò da
Piazzetta fino a Capo la terra dove
sorgeva un'altra parrocchia: S.
Giovanni. Si poteva ridiscendere per S.
Cristoforo, o attraversando il piccolo,
miserabile ghetto, la Giudecca. Una
terza piccolissima parrocchiale era S.
Maria degli Angeli, e una quarta S.
Arcangelo, abolite nel 1417.
Dal Pizzone per vicoli contorti si
saliva al «Corso» principale, e per le
Gradelle si scendeva alla porta di
Torano o S. Arcangelo. Gli ambienti non
erano vasti: in genere una stanza era
piccola, le viuzze erano oscure, l'acqua
corrente non stava nelle case ma
scorreva sotto bastioni.
Salvavano in parte questa situazione
disagiata due fattori: la posizione
difensiva e l'ottima esposizione a
mezzogiorno.
Oltre il grande castello, le cinque
chiese e gli edifici pubblici, maggiori
edifici erano: a Piazzetta il palazzo
dei nobili de Forma (oggi Santangelo), a
Capo la terra il palazzo del Santo, a S.
Cristoforo i Palazzo Paterno (oggi
Bianchi), il palazzo Pierleone in basso
sul bastione, molto panoramico, ed
altri.
Le
fortezze
Oltre il bastione, un poderoso
castello, situato sull'alta rupe su cui
è oggi addossato l'edificio scolastico,
guardava minaccioso sulla pianura
sottostante. Sorse forse nell'XI secolo,
fu ingrandito alla fine del '300, dal
1701 fu trasformato nell'attuale palazzo
ducale. Per la natura del terreno non
era proprio quadrato e con quattro
torri. Era trapezoidale e delle due
basi, la più lunga è quella che affaccia
sul burrone del Rivo. Le torri erano
tre, quadrate, sull'attuale sopportico,
all'angolo dove comincia la terrazza e
all'altro angolo presso il Rivo.
Costruito nel 1414 in basso il convento
domenicano, al castello si poteva
accedere da una rampa, poi incorporata
al convento. Questo fu il castello di
Piedimonte, innanzi al borgo, quasi un
colosso piazzato innanzi ad inermi.
Ma è difficile dire se fosse più antico
questo o l'altro sulla collina che, per
la sua grandiosità e potenza, ha
lasciato il nome alla zona.
Dal basso con le fortificazioni già
viste, e con le difese naturali delle
rupi a strapiombo nelle due valli, era
quasi impossibile impadronirsi di
Piedimonte, colle armi di allora.
Ma era invece facilissimo scendendo dal
Matese, o dopo aver aggirato Cila, ecc.
Da ciò la necessità di fortificare in
alto, proprio dove iniziava la discesa.
E questo fu il castello vero di
Piedimonte, il castello della difesa
alle spalle, dell'ultima disperata
difesa, quando in qualche occasione la
parte bassa (S. Giovanni) s'era dovuta
arrendere. Il castello di Piedimonte era
dunque quasi un'acropoli. Aveva un
poderoso muraglione con due sole porte:
quella di Piedimonte e quella della
montagna, tuttora esistente rifatta ed
amplificata, e cinque torri.
Se le fortificazioni sono indubbiamente
medievali, e sono certo più poderose di
quelle di Piedimonte bassa, non perciò
l'abitato ha la stessa origine, origine
che può essere più antica, anche se si
tratti di umile villaggio.
Casali
Nella « terra » in senso largo
comprendente tutto il territorio del
feudo stavano, oltre i due abitati
fortificati, anche i «casali>>. Erano:
la Vallata, fino a tutto il '400
piccolissima, che si estendeva
dall'Annunziata in su fin verso il Capo
della Vallata dove si imboccava la Valle
di Alife (poi detta Paterno). Curioso
che in qualche carta del primo '400, se
è autentica, questo villaggio è chiamato
sobborgo di Alife. Non aveva
fortificazioni, era solo un gruppo di
case di contadini con due piccole
chiese: l'Annunziata e S. Nazario.
S. Gregorio, piccolo abitato montano dal
nome sconosciuto, fu poi detto così da
una chiesa e un piccolo monastero
benedettino cui forse apparteneva parte
del suo territorio. La ridotta
popolazione, la modesta economia
pastorale ne faceva un abitato
dipendente dal castello che lo
rappresentava al Parlamento locale. Era
insomma un gruppo ramificato di
famiglie, di poca importanza, e
anch'esse dipendevano dalla parrocchia
del castello, e non avevano
rappresentanti propri al Parlamento di
Piedimonte. Sepicciano e S. Potito erano
altri due gruppi di casette.
Il nome Sepicciano è documentato dal
secolo X, quello di S. Potito è di
dubbia origine. Il Trutta, dimenticando
che il santo di questo nome dà nome
anche ad altri paesi, come a chiese di
Napoli, parla addirittura di derivazione
dalla
gens
Potitia. Certo, se il paese
derivasse da una chiesa del santo, tutto
si spiegherebbe, ma il fatto è che la
chiesa è dedicata a S. Caterina di
Alessandria, e un'altra che ve n'era a
S. Cassiano. Donde questo nome? O
meglio, dov'era il luogo della
devozione? Escluso che sia un
adattamento cristiano di un nome e di un
culto pagano, non resta che ricorrere a
una chiesa non più esistente. Comunque
sia, questi tre piccoli abitati
pedemontani sono antichissimi com'è
dimostrato dalle tombe arcaiche ivi
rinvenute. Non derivano necessariamente
da Piedimonte, dato che la zona è
abitata dalla protostoria. Erano
dipendenti da quel centro naturale di
mercato e difesa.
Aggiungete ai raggruppamenti contadini
le montagne del Matese, abbandonate e
impervie, note solo ai pastori locali
transumanti e ai popolani, e avrete il
quadro, la situazione della nostra terra
nel primo Medio Evo. Arrivando da Alife
per l'unica via, che negli Statuti
alifani del 1503 è detta
stratella pedemontana, ci si
trovava dinanzi al monastero del SS.
Salvatore (presso la Stazione).
Proseguendo, ecco altre chiesuole ed un
coemeterium, dov'è Porta
Vallata. Si vedeva la piccola Piedimonte
sotto la rupe lontana, e vi si accedeva
attraverso una zona boscosa (dov'è S.
Domenico, sotto la rupe del Castello),
costeggiando quasi il Torano, e salendo
per <<li perruni » (dov'è la Strettola),
gradini scavati nella roccia, una via
che ancora nel primo Settecento era
ineptam, acclivem, scoscesa.
Quadro misero, si dirà. Senza dubbio, ma
si tenga presente che fin quasi al '200,
la situazione era la stessa dovunque.
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