Genovesi Marcantonio
(1552-1624)
Secondo il
Giustiniani
nacque a Napoli il 26 maggio 1552 (secondo D.B. Marrocco fu battezzato in
Santa Maria Maggiore di Piedimonte d'Alife). Destinato alla carriera
religiosa dal padre Roberto, originario di Piedimonte d'Alife, il G., dopo
essersi laureato in utroque iure, divenne nel 1595 canonico e
avvocato fiscale dell'arcivescovato di Napoli, distinguendosi per l'acume e
l'abilità con cui seppe difendere le prerogative ecclesiastiche nei
confronti del potere statale, proprio alla vigilia della prima grande
offensiva anticurialista che nel Regno si scatenò nel primo ventennio del
XVII secolo.
La sua pratica forense si riverberò in una ponderosa opera teorica,
Praxis archiepiscopalis curiae Neapolitanae in qua quicquid in aliis etiam
curiis archiepiscopalibus et episcopalibus frequentius occurrere solet
,
Napoli 1602. In quest'opera, dedicata al pontefice Clemente VIII, il G.
cercava di fornire una sorta di prontuario di giurisprudenza pratica, per
consentire al clero di far fronte alle contestazioni del potere civile.
A poche settimane di distanza dalla comparsa del volume, il Consiglio
collaterale ordinario, responsabile della censura editoriale nel Regno,
condannava l'autore, riconoscendolo "sospetto della fede regia, sedizioso e
perturbatore della giurisdizione regia e pace dei popoli". In virtù di quel
provvedimento, il commercio dell'opera fu proibito in tutto il territorio
del Regno e le copie furono sequestrate.
Il G., temendo la persecuzione, uscì clandestinamente da Napoli e trovò
rifugio a Roma, dove seppe far valere molto bene i suoi meriti, riuscendo a
ottenere da Clemente VIII il vescovato di Montemarano, presso Benevento.
Ma al momento di ottenere il regio exequatur, che solo avrebbe potuto
dare validità alla nomina, il Consiglio collaterale rifiutò di dare sanzione
alla designazione pontificia. Lo stesso G., velatamente, si opponeva alla
concessione dell'exequatur, brigando presso gli ambienti curiali e
persino presso quelli della corte vicereale. Se il Consiglio collaterale
avesse infatti insistito nell'opporre un rifiuto alla nomina del G., questi
avrebbe potuto domandare al pontefice un maggiore e più ricco vescovato
fuori del Regno, essendo quello di Montemarano assai povero e di pochissima
rendita. Accortosi di questi maneggi, il Consiglio collaterale decise di dar
seguito, senz'altro indugio, alla nomina papale, trasformando il suo assenso
in una sorta di punizione, che avrebbe privato il nuovo vescovo di maggiori
e più estesi benefici. Il 10 maggio 1603 il G. poté quindi insediarsi
ufficialmente a Montemarano, non senza aver ricevuto, insieme con
l'autorizzazione regia, un dispaccio governativo che gli intimava con
durezza di "essere avvertito per il futuro sopra la persona sua e alle
azioni che avesse fatto", se non avesse voluto incorrere nei rigori della
legge.
Per nulla intimorito da questo avvertimento, il G. non dismise i suoi panni
di deciso difensore dei privilegi della Chiesa, aggiungendo al suo Praxis
curiae nuove e più radicali appendici e ristampando più volte il volume.
Nuove edizioni dell'opera vedranno la luce a Roma nel 1609, 1620 e 1622, a
Napoli nel 1613, 1616 e 1630, a Lione nel 1622 e, dopo la morte del G., a
Venezia nel 1645 e 1667.
Durante il periodo passato a Montemarano, il G. alternò le cure per la
diocesi all'elaborazione di altre opere. Nel 1606 fu stampato a Rimini il
volumetto Alcuni pii e brevi ricordi scelti dalla S. Scrittura per i
figlioli de' principi; nello stesso anno usciva a Roma il Manuale
pastorum sacrorum canonum auctoritatibus Patrum sententiis et sanctorum
episcoporum exemplis refertum, dedicato a Paolo V, dal quale fu poi
protetto.
Il G. fu quindi nominato vescovo di Isernia con breve papale del 26 sett.
1611.
La permanenza nella nuova sede non interruppe la sua attività letteraria.
Nel 1620, il G. stampava a Roma il Tractatus de Ecclesia, sive
practicabilia ecclesiastica. A pochi anni di distanza, nel 1624, vedeva
la luce a Napoli un piccolo trattato politico, Navicula Petri,
dedicato a Urbano VIII. Nell'opera il G. tentava di delineare una sorta di
accordo sociale, che avrebbe dovuto legare le classi diseredate ai potenti
al fine di rendere le prime disponibili a rispettare il dovere
dell'obbedienza nei confronti dei superiori e i secondi a operare
caritatevolmente per alleviare le condizioni di vita dei più bisognosi.
Il G. morì nella sua diocesi di Isernia, il 7 nov. 1624, lasciando
incompiuto un altro volume, anch'esso dedicato al dovere cristiano della
carità verso gli indigenti, intitolato L'avvocato de' poveri, figura,
questa, alla quale era stato dato notevole rilievo anche nella riforma dei
tribunali emanata da Paolo V nel 1612. (Fonte: Eugenio Di Rienzo,
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53, 2000)
Marasco Antonio
Sul Monte Cila (677 m slm), il primo maggio del 1934, in pieno Regime
fascista, osò sfidare la dittatura, inalberandovi la bandiera rossa.
Farla sventolare dallalto di quel monte costituì un segnale, un forte
messaggio di sfida che uomini coraggiosi, sovversivi di tale zona
mandarono al Regime in un momento in cui godeva di un forte consenso in
Terra di Lavoro.
Nei primi anni della presa del potere da parte del Fascismo, vi erano stati
a Piedimonte scontri tra fascisti e comunisti, di cui il più violento fu
certo quello del 5 gennaio 1925. In quelloccasione fu seriamente ferito
alla testa il calzolaio comunista Alfonso Santomassimo, morto proprio
qualche anno dopo in seguito a tale aggressione. In quel frangente vi furono
arresti, e tra gli arrestati, figurava il nome di Antonio Marasco.
Quando il fascismo divenne Regime e operò la normalizzazione diventò
difficile opporsi, ma uomini coraggiosi riuscirono ad affiancare Antonio
Marasco nell'inalberare il primo maggio 1934, sul Monte Cila, la bandiera
rossa: episodio considerato in quel tempo decisamente clamoroso.
Di Antonio Marasco furono reperibili notizie solo nel dopoguerra, allorché
si organizzarono i primi movimenti contadini e la sezione comunista di
Piedimonte Matese divenne punto di riferimento importante per le classi
subalterne. Ciò si deve alla ricerca costante e attiva di Giuseppe
Capobianco, che ha rinvenute informazioni nelle raccolte documentarie
dellarchivio di Caserta e ci consente di illuminarci sulla figura storica
dellantifascismo del Matese.
Antonio Marasco fu il fondatore nel 1919 della Camera del Lavoro di
Piedimonte Matese insieme agli operai elettrici della centrale, ove lavorò
fino al pensionamento.
Giuseppe Capobianco scrive che la biografia di Antonio Marasco non è
unopera facile .
La Camera del Lavoro di Piedimonte Matese diede impulso alla sezione
massimalista del Partito Socialista Italiano che aderì con la forza dei suoi
200 iscritti al Partito Comunista dItalia, dopo la scissione di Livorno.
Negli anni del Fascismo Antonio Marasco fu presidente del Comitato di
Liberazione Nazionale di Piedimonte, mentre si andava gradualmente
organizzando il Movimento Operaio di Terra di Lavoro.
Inoltre la struttura clandestina di Piedimonte Matese riuscì a essere punto
di riferimento per tanti sovversivi, che altrove, licenziati e
perseguitati, giungevano al paese del Matese. Giuseppe Capobianco scrive
che la biografia di Antonio Marasco non è unopera facile. Le fonti
archivistiche hanno consentito di reperire materiale insufficiente.
Il figlio di Giuseppe Capobianco, Franco scrive, in relazione alla volontà
di ricostruire la provincia di Caserta, dopo la soppressione di Terra di
Lavoro, decisa da Mussolini nel 1927 che decisivo fu il ruolo svolto dal
CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Piedimonte Matese e forte fu la
determinazione dei Sindaci dei comuni dellAlifano nel difendere il
territorio per ritornare ad essere compresi nella ricostituenda provincia di
Caserta.
Ciò che evidenzia Giuseppe Capobianco è in particolar modo la bellezza della
realtà della sezione comunista piedimontese degli anni cinquanta ove
ognuno, indipendentemente dalle sue idee politiche, si recava per un
consiglio, per denunciare un sopruso, per rivendicare un diritto.
In quellattività commenta Capobianco non cera ombra di paternalismo,
ma il riconoscimento di unautorità alternativa a quella predominante,
unautorità conquistata sul campo, con testarda coerenza.
Ed è per questo che nel territorio di Piedimonte la sinistra poté competere
in quegli anni con la Democrazia Cristiana e con le Destre, per la coerenza
testarda degli uomini che esprimeva, uomini credibili che la gente
seguiva, se si rapportano i risultati ottenuti a quelli delle altre realtà
del Casertano ove le sinistre erano decisamente e prevalentemente
minoritarie.
Candidato per l'Assemblea Costituente del 02/06/1946 per la Circoscrizione
NAPOLI-CASERTA, nella lista di Giorgio Amendola, ottenne 1.537 preferenze.
In tale contesto Giuseppe Capobianco con orgoglio sottolinea il risultato
delle elezioni amministrative del 1956, con la sinistra che a Piedimonte
ottenne un 39,2% di consensi, riuscendo a competere quasi alla pari con la
Democrazia Cristiana che raggiunse il 42.6%, mentre le Destre il 18,2%.
Tale successo fu dovuto preminentemente ad Antonio Marasco, alla sua
credibilità e alla sua coerenza nel guidare il Partito Comunista Italiano
nel territorio di Piedimonte, uomo a cui anche gli avversari riconoscevano
le sue idealità rapportandosi con lui con gran rispetto e stima.
A conferma di ciò, quando morì, poco tempo dopo le elezioni, il 15 luglio
1956, alletà di 62 anni, anche la Chiesa locale non fece alcuna minima
opposizione ai funerali religiosi, data la volontà dei familiari di
portarlo in Chiesa.
Allora vi fu laccordo per un funerale misto, un funerale organizzato dal
Partito e uno dalla Chiesa per ricordare luomo che aveva inalberato la
bandiera rossa sul Monte Cila il primo maggio 1934.
Gaetani Luigi (1777-1856)
Iniziò la carriera durante la guerra contro i Francesi invasori dello Stato
Pontificio nel 1798. Nel 1831 divenne Maresciallo di Campo e Aiutante
Generale del Re Ferdinando II, e il 23 novembre 1832 fu decorato del Gran
Cordone. Riorganizzò i quadri degli ufficiali e richiamò i destituiti del
1820. A Torino trattò il matrimonio del sovrano con Maria Cristina di
Savoia. Lasciò inedita la Biografia storica del conte Luigi Gaetani
dell'Aquila d'Aragona, breve ma densa di notizie. Sotto la restaurata
bandiera bianca dai gigli d'oro raggiunse il grado di Maresciallo di Campo.
Morì a Portici (NA) nel 1856.
Gaetani Antonio (1363-1416)
Proveniente dalla nobile famiglia dei Conti di Fondi, che aveva dato alla
Chiesa anche un papa, Antonio intraprese fin da adolescente la carriera
ecclesiastica. Eletto Patriarca di Aquileia nel 1395, secondo D. Marrocco
senza mai visitare la Patria del Friuli, rassegnò le proprie
dimissioni in Roma nel 1402.
Di diverso avviso è lo storico Pio Paschesi, che nelle "Memorie storiche forogiuliesi"
(Udine, 1933), riferisce
di un successivo arrivo del patriarca nella sede friuliana.
Infatti, "Bonifacio IX con bolla del 27 gennaio 1395, nominò patriarca Antonio Caetani, figlio di Giacomo
II Caetani e di Sveva Sanseverino, della famiglia di Bonifacio VIII. Questi era allora nel fiore dell'età, sebbene
fosse malfermo di salute, referendario e protonotario apostolico, arcidiacono di Bologna, priore
di S. Giacomo sopr'Arno a Firenze, in ottimi rapporti colla Signoria di questa città e col re Ladislao
di Napoli" - "ll Caetani verso la fine di febbraio inviò a Venezia ed anche a Padova come suoi
ambasciatori maestro Bernardo degli Angelieri di Firenze maestro in teologia ed Angelo de Baglioni
di Perugia,
dottore
in
decreti,
a
presentare
i
suoi
complimenti.
Poi
nel
marzo
inviò
suo
fratello
Cristoforo,
ch'era
uomo
d'arme,
come
marchese
in
Istria,
dove
sapeva
che
c'erano
disordini.
Cristoforo
precedette
di
poco
suo
fratello, giacchè
sappiamo
che
verso
la
metà
d'aprile
il
nuovo
patriarca
si
trovava
a
Venezia,
dove
prese
a
prestito
dalla
Signoria
tremila
ducati
d'oro,
che
evidentemente
dovevano
servirgli
per
le
spese
che
stava
per
sostenere
nell'entrare
nel
patriarcato.
Senza
toccare
Padova
il
patriarca
si
diresse
subito
ad Aquileia,
dove
il
19
aprile,
alla
presenza
dei
due
vescovi
Martino
di
Ceneda
e
Giberto
di
Cittanova,
del
capitolo
d'Aquileia,
del
decano
di
Cividale,
di
Michele
di Rabatta,
sino
allora
vicedomino,
di
alcuni
nobili
friulani,
i
rappresentanti
delle
quattro
famiglie
ministeriali
maggiori:
Valvasone
e
Zucco,
Spilimbergo,
Arcano
e
Moruzzo,
Prampero,
secondo
il
costume,
fecero
sedere
il
patriarca
sulla
sua
sede
in
fondo
all'abside
della
basilica
e
gli
conferirono
con
ciò
il
possesso
del
principato
patriarcale;
ed
il
patriarca,
molto
probabilmente,
prestò
il
giuramento
di
osservare
le
consuetudini
e
di
mantenere
le
giurisdizioni
della
Chiesa
d'Aquileia
e
della
Patria
del
Friuli.
Poi
il
mercoledì
21
aprile
il
patriarca
presiedette
il
parlamento
generale
della
Patria,
ricevette
i
complimenti
ed
i
doni
che
gli
presentarono
i
signori
e
le
comunità
del
Friuli.
Il
22
aprile
egli
entrò
in
Udine
e
poi
il
15
maggio
a Cividale."
Al suo
seguito troviamo anche un Tommaso di Piedimonte, che poi è qualificato come cappellano, cameriere e famigliare e che il 17
ottobre 1397 ebbe la pieve di S. Giorgio di Latisana (Registrum, cc. CIII
v., CXXVI).
Lo stesso Paschesi riferisce di una venuta del Caetani a Piedimonte per visitare i suoi genitori in
occasione di una sua discesa a Napoli.
Bonifacio IX lo elevò alla dignità cardinalizia nel concistoro del 27
febbraio 1402. Fu prima cardinale presbitero di Santa Cecilia, quindi il 12
giugno 1405 divenne cardinale vescovo di Palestrina.
Nel 1405 fu nominato grande penitenziere e arciprete della basilica del
Laterano; partecipò al concilio di Pisa nel marzo del 1409 e per tale
ragione fu deposto da papa Gregorio XII. Partecipò al conclave del 1409 che
elesse l'antipapa Alessandro V. Il nuovo antipapa lo nominò vescovo di Porto
e Santa Rufina e amministratore della diocesi di Fiesole. Non partecipò al
conclave del 1410 che elesse l'antipapa Giovanni XXIII.
Morì a Roma nel 1416 e fu sepolto nella cappella di papa Bonifacio VIII,
nella basilica di San Pietro in Vaticano; più avanti venne traslato nella
basilica di Santa Maria sopra Minerva e sepolto alla sinistra dell'altar
maggiore, come ringraziamento per la ristrutturazione della basilica stessa.
Fra le opere degne di nota che compì in quanto patriarca di Aquileia si
ricordano il debellamento dei briganti nel Carso e la riorganizzazione
dell'archivio e della cancelleria patriarcale.
Gaetani Luigi
(1595-1642)
Nato a Piedimonte da madre piedimontese, Camilla Gaetani d'Aragona, mentre
il padre, Filippo era del ramo romano, di Sermoneta
(ma il
Cardella nel 1793 ed il Renazzi nella sua Storia dell'Università
degli Studj di Roma, detta La Sapienza... - vol.III - Roma, 1805 - lo
portano nato a Roma). A Piedimonte indossò
l'abito talare. Studiò a Ravenna. Nel 1622 ebbe il titolo di patriarca di
Antiochia dei Latini. Nel 1624 fu arcivescovo di Capua e nel '26 fu nominato
cardinale e consultato in molte congregazioni. Durante il Giubileo del 1625
accolse e alimentò a spese proprie fino a 1000 pellegrini.
M. Monaco nel Sanctuarium capuanum ne loda la pietà, l'assiduità al
coro, la carità con cui ospitò e rifocillò durante il giubileo del 1625
tutti i pellegrini che passarono per Capua. Morì a Roma l'8 agosto 1642 ed
ebbe sepoltura nell'insigne Cappella gentilizia della sua famiglia nella
chiesa di S. Pudenziana.
Gaetani d'Aragona Luigi
(1863-1917)
Fu deputato di Sora (1894), e poi di Piedimonte per tre legislature, fino al
1906. Datosi alla carriera diplomatica, fu console generale a Trebisonda,
Filippopoli e Ginevra, finché fu nominato ministro plenipotenziario a Bogotà
in Colombia, ma a causa di malattia non poté raggiungere la sede. Nel 1890
fu a Berlino, inviato da Crispi in missione straordinaria, e al ritorno
scrisse Per la Triplice lavoro diretto ad illustrare i vantaggi del
famoso patto.Fu decorato di alte onoreficenze italiane, greche, bulgare e
turche.
Gaetani d'Aragona Massimo
(1902-1948)
Di padre piedimontese, ebbe per maestri P. Silva per la storia e Giacinto
Bosco per il diritto internazionale, e fu il primo al concorso in
diplomazia. Console di Elisabethville (ex Congo belga) fu convinto assertore
della collaborazione fra i popoli europei e africani. Durante la guerra
etiopica volle raggiungere il nostro esercito attraverso l'Uganda e il Caffà,
ma il Governo lo inviò in America latina a fronteggiare la propaganda
antitaliana. E ci riuscì subito nell'Equador, dov'era incaricato di affari,
che fu il primo paese ad abolire le sanzioni. Durante la guerra di Spagna fu
console a Siviglia, e divenne popolare fra i soldati. Fu ferito alla presa
di Bilbao, e partecipò anche alla guerra di Barcellona. Dopo l'armistizio
con la Grecia fu inviato ad Atene in missione delicata e difficile. Nel 1947
era consigliere dell'Ambasciata italiana in Norvegia, ove morì nello stesso
anno.
de Forma Giovanni
(1300-1400 ?)
Fra il '300 ed il '400 visse questo nobile cavaliere nato nel suo palazzo a
Piazzetta. Il De Lellis, parlando di Guarino (già padrone di Trevico) e
Riccardo de Forma, dice che da Nusco, loro patria, "sieno andati ad
abitare a Piedimonte d'Alife, donde passarono in Napoli ad occupare posti
eminenti". Giovanni percorse la carriera di magistrato raggiungendo nel
1412 il grado di Vice protonotaro del Regno (e cioè Sottosegretario alla
Giustizia e all'Istruzione). Nel 1452 fu promosso presidente della R. Camera
della Sommaria, che era la Corte dei conti del Reame, e nel '58 fu anche
Governatore di Sulmona. (approfondimento)
de Franchis
Iacobuccio
(?-1517)
Zio di Vincenzo de Franchis, fu celebre giurista e professore di diritto feudale all'Università Reale di
Napoli. Nel 1505 era membro del S. Real Consiglio. E' autore di Pratiche
legali e dei Preludia, stampati dal nipote. Fu anche personalità
politica, e papa Leone X se ne servì in delicate ambascerie straordinarie
presso Carlo V.
Fu sepolto in S. Domenico
Maggiore di Napoli nella Cappella dei Signori
de Franchis. (approfondimento)
de Franchis Vincenzo
(1531-1601)
Le
radici della famiglia sono a Capua, dalla quale furono esiliati nel 1066 per
farvi poi ritorno sotto Giordano II. Da qui la famiglia si ramificò in varie
città tra le quali Piedimonte d'Alife. La Famiglia ebbe il privilegio
firmato da re Carlo II d'Angiò e confermato da re Ferrante I d'Aragona nel
1458 col quale si decretava che quando il Re, dopo l'incoronazione, entrasse
per la prima volta in Capua, un cavaliere di Casa de Franchis insieme alla
moglie avrebbero dovuto reggere le briglie del cavallo sino a quando il
sovrano non sarebbe smontato. Al cavaliere spettava in dono il cavallo e
alla moglie l'anello che il Re portava al dito. Poco dopo tale avvenimento,
nel 1508, Giovanni si trasferì a Piedimonte con la nobile famiglia capuana formata da Giulio de
Franchis e sua moglie Sveva. Tra gli altri di famiglia vi era anche il figlio Adriano. Da Adriano e sua moglie Nella
nacque, nel 1531, Vincenzo de Franchis. Vincenzo fece una splendida carriera nella magistratura. Ancora
giovane fu inviato a Napoli per attendere allo studio delle leggi ed ebbe
come maestro Tommaso Nauclerio. A Napoli professò
per tredici anni l'avvocatura, che svolse con rara abilità e prontezza
riuscendo a dettare differenti materie contemporaneamente senza mai
incorrere in errore. Rifiutò
cause ingiuste, e spesso patrocinò cause riguardanti i poveri senza
percepire alcun compenso. Grande importanza professionale rivestì lincarico
ricevuto dalla contessa di Alife, Cornelia Piccolomini; Vincenzo de Franchis,
giovane trentenne, dottore in Diritto canonico e civile, fu nominato
procuratore della conte ssa presso il viceré. Visse in una villa fuori le
mura di Napoli, in S. Maria degli Angeli alle croci, dove spesso era solito
ritirarsi per preparare le
Decisiones.
Il passo dalle dottrine giudiziarie alla politica fu
breve, sicché nel 1566 il re Filippo II lo elesse a Giudice di Vicaria
e quindi, mano mano, lo fece prima Reggente nel Supremo Senato d'Italia,
poi membro e e successivamente, nel 1590, Presidente del Supremo
Consiglio d'Italia. Ed ancora nel 1591 Viceprotonotario del Regno,
per cui, per tutto quello che riguardava la politica degli stati uniti alla
Spagna (Napoli, Sicilia, Sardegna, Milano), Re Filippo II ascoltava lui. Lo
creò duca di Torre Orsaia e cavaliere di Santiago de la Espada, e ne fece
mettere il ritratto nel Tempio di San Lorenzo all'Escuriale. La sua opera
fondamentale è Decisiones sacrii regi Consili neapolitani,
ed è divisa in tre parti. L'opera dell'illustre piedimontese è una
compiuta enciclopedia di diritto, fu ammirata da tutta l'Europa e di essa su
fecero ben otto edizioni. Morì il 3 aprile 1601, all'età di settant'anni,
dopo solenni funerali, il suo corpo fu seppellito nella Chiesa di San
Domenico Maggiore, in Napoli.
Avventuroso, ebbe dalla moglie Antonia Celia di Napoli, quattordici figli, nove maschi e cinque femmine, senza
vederne morire alcuno. Anzi i suoi figli maschi raggiunsero tutti alti
incarichi civili ed ecclesiastici, mentre le femmine furono tutte ben
maritate.(approfondimento)
Petella Giuseppe
(1861-1931)
Nato a Piedimonte d'Alife (CE) nel 1861, si arruola giovanissimo
nell'Esercito e poi transita, con il grado di Tenente, nell'Arma dei
Carabinieri.
Da giovane Ufficiale viene destinato alla Legione di Milano dove, assunto
lincarico di Aiutante Maggiore, si fa subito apprezzare per i servizi
prestati in occasione dei difficili momenti della sommossa scoppiata nella
primavera del 1898.
Promosso al grado di Capitano viene inviato, come Comandante di Compagnia,
dapprima alla Legione Allievi di Roma e successivamente a Nuoro. Nella
Provincia sarda si occupa della lotta e repressione del brigantaggio
portando a termine brillanti operazioni di servizio, prima tra tutte quella
contro la Banda SerraSanna annientata nel 1899 con il sanguinoso
conflitto a fuoco di Morgolias
(n.d.r. - Morgogliai, nel
Supramonte orgolese), per la quale, con Determinazione Sovrana
del 23 settembre 1899, viene decorato con la Medaglia dArgento al Valor
Militare. Già alcuni mesi prima il
Petella, alla fine di una paziente
raccolta di informazioni, allo scopo di creare terra bruciata intorno alla
banda Serra-Sanna, aveva preparato in gran segreto un'operazione chiamata da
un cronista dell'epoca "la notte di San Bartolomeo": nella notte tra
il 14 ed il 15 maggio 1899 decine di persone, latitanti e complici di ogni
genere, vennero tirate giù dal letto e ammanettate.
In data 12 ottobre 1906, dopo essere accorso in aiuto della popolazione di
Napoli colpita dal terremoto, partecipa alle operazioni di salvataggio dei
superstiti del crollo del mercato Monteoliveto ottenendo, per la sua opera,
la Medaglia di Bronzo al Valor Civile. Promosso al grado di Maggiore a
scelta speciale, in base allart. 25 della Legge sullavanzamento, si
distingue ancora per le operazioni umanitarie portando aiuti, oltre che ai
napoletani, anche alle popolazioni calabro sicule funestate dal terremoto
del 28 dicembre 1908 ed agli abitanti di Ischia nel 1910, ove dirige le
operazioni di soccorso di reparti dellEsercito e della Marina inviati
nellisola per la grave alluvione.
Allinizio della Prima Guerra Mondiale viene destinato, con il grado di
Tenente Colonnello e successivamente con quello di Colonnello, ottenuto per
meriti di guerra, al Comando dei Carabinieri della III^ Armata. Il suo
comportamento ed il suo operato durante lintera Campagna gli valgono la
nomina a Cavaliere dellOrdine di Savoia, poi divenuto Ordine Militare
dItalia.
Al rientro dalla Campagna di Guerra viene destinato a Napoli come Comandante
della Legione e vi rimane dal 26 novembre 1919 al 21 febbraio 1920.
Lasciato il servizio attivo per i raggiunti limiti di età, ricopre
importanti cariche pubbliche, ultima delle quali quella di Primo Potestà
della città di Capua ove ebbe modo di farsi apprezzare e ricordare dalla
popolazione per la sua solerzia, la sua avvedutezza ed il suo impegno per la
risoluzione di importanti questioni locali. Ritiratosi da tutti gli impegni
istituzionali muore a Napoli il 17 gennaio 1931.
Conte Francesco
(1857-?)
Primo Presidente della Corte di Appello di Napoli, decorato con le Gran
Croci dei SS. Maurizio e Lazzaro e della Corona d'Italia. Era venerato dai
magistrati ed avvocati di Castecapuano, che gli offrirono reverenti una
medaglia d'oro quando si ritirò. Eppure a quest'uomo eminente non si aprì il
Senato del Regno. Scrisse specialmente di Diritto Civile.
Caso Beniamino
(1824-1883)
Nacque nel piccolo paese di San Gregorio, nel 1824. Beniamino studia al Real
Collegio di Maddaloni e, ancora giovanissimo, è attratto dalla vita
politica. Liberale sincero, votato alla causa dellunità nazionale, durante
gli avvenimenti del 1848, quando fu formato il Parlamento napoletano,
Beniamino Caso era studente di Medicina a Napoli, in stretto contatto con il
suo compaesano Gaetano Del Giudice, deputato al Parlamento di Monteoliveto
e, in quel momento, suo riferimento politico. Sicuramente visse in prima
linea i tumulti del 48, partecipando ai comizi ed alle barricate.
Da Napoli Caso era il tramite tra i rappresentanti dellarea matesina in
quel Parlamento e gli amici restati a Piedimonte, portando notizie sulle
vicende che segnavano i lavori di quel consesso e giornali di opposizione al
regno. E fu certamente al fianco di Silvio Spaventa e Gaetano Del Giudice,
che proprio in quei giorni fondavano a Napoli il giornale Il Nazionale, in
cui trovano spazio le idee del costituzionalismo liberale e della politica
di unificazione nazionale.
Abbandonati gli studi di medicina, si dedicò completamente allattività
politica, divenendo Sindaco di San Gregorio fino al 1853 quando venne
sospeso, forse per motivi politici. Ma negli anni successivi la carica fu
del fratello Michele. Sono gli anni dellattesa e della preparazione.
Agesilao Milano attenta alla vita di re Ferdinando, Carlo Pisacane sbarca a
Sapri, nellambiente napoletano sono attivi sia il Comitato dellOrdine, che
raccoglie la componente liberale più moderata che risale a Cavour, sia
quello dellAzione, di più accesa indole mazziniana.Beniamino Caso, che
vivendo in un clima familiare che tutto richiama ai fratelli Zurlo, e di
loro ha letto ed assimilato ideali ed insegnamenti, è lanima del Sotto
Comitato dellOrdine e nella primavera del 1860 raccoglie attorno a sé un
gruppo di liberali del comprensorio matesino. Il ruolo giocato dalla
massoneria in questa formazione è significativo, in quanto alcuni membri del
Comitato sono anche appartenenti alla seconda loggia massonica piedimontese,
quella del 1848 denominata Figli del Matese.
Quando ormai le notizie dellavvicinamento di Garibaldi, ed i segnali che
giungono dalla corte napoletana lasciano intendere imminente il momento
della caduta borbonica, Beniamino Caso mette su un vero battaglione di
uomini, la Legione del Matese, in buona parte finanziata da lui
personalmente, pronta allazione. Della Legione fa parte, tra i tanti, anche
il giovane pittore Gioacchino Toma, che un anno prima era stato confinato
per motivi politici sul Matese, ed era stato protetto proprio da Caso, che
ne aveva promosso la vendita di alcuni quadri. Nel settembre 1860 è membro
del Governo Provvisorio del Distretto di Piedimonte ma, fatta lunità
dItalia, resta fuori dai primi incarichi governativi. Il suo vecchio
mentore, Gaetano Del Giudice, viene nominato Governatore di Capitanata ed il
fratello di questi, Achille, diviene Maggiore della Guardia Nazionale per il
Distretto di Piedimonte.
Nonostante ciò Beniamino Caso è benvoluto dal popolo soprattutto nelle
campagne, dove ottenne il soprannome di amico del popolo ed alle
elezioni per la Camera dei Deputati, la prima del Regno dItalia, viene
eletto contemporaneamente sia per il collegio di Caserta che per quello di
Piedimonte. Decide di optare per il collegio di Caserta, ma questa sarà la
sua condanna politica. Operò questa scelta per fare spazio allamico Gaetano
Del Giudice, risultato secondo eletto a Piedimonte. Del Giudice fu dunque
nominato deputato, mantenendo quel seggio per le tre successive legislature
fino al 1870, e lasciandolo poi al fratello Achille.
A Torino Caso è attivamente impegnato nei lavori parlamentari. Presenta una
proposta di legge per sospendere la nascita della Provincia di Benevento,
che era stata formata sottraendo territori a quella di Caserta.
Nel tempo libero si appassiona allo studio della botanica e per le sue
origini montanare è attratto dalle cime alpine. Il 23 ottobre 1863 è nel
castello del Valentino a Torino, dove Quintino Sella ha riunito 36
appassionati alpinisti: lì nasce il Club Alpino Italiano del quale proprio
Caso è nominato Vice Presidente.
Alle elezioni del 65 viene sonoramente sconfitto da Gaetano Del Giudice. E
il momento dellisolamento e della delusione per una persona onesta che
segue la sua coscienza e sfugge gli opportunismi. Così Beniamino Caso, il
gentiluomo dalla faccia aperta, come Gioacchino Toma lo descriverà nelle sue
memorie, torna a San Gregorio, dove si dedica alla realizzazione di un
grandioso giardino botanico che intitola a sua madre, Luisa Zurlo, scomparsa
nel 1858. A Villa Luisa mette a dimora alberi pregiati, essenze, piante
officinali, arbusti del sottobosco e la impreziosisce con vasche, fontane,
vialetti ed un castelletto diruto ispirandosi, per certi scorci, al
paesaggismo del giardino romantico, in un impianto di rara armonia e
suggestione.
Nella solitudine politica cui è costretto, Caso coniuga la passione montana
e l'interesse botanico, visitando i luoghi più impervi del Matese, dove
identifica la Nemianthus trifoliata, una viola che fiorisce a gennaio.
Fondò e fu presidente del Comizio Agrario del circondario di Piedimonte,
curando la pubblicazione del bollettino di notizie agrarie detto l'Alifano.
Non dimentico dello stretto rapporto familiare con la Capitanata, realizzò
uno studio sull'agricoltura pugliese che gli valse il conferimento della
Croce dell'ordine della Corona d'Italia.
Nel ricordo delle escursioni alpine compiute negli anni torinesi, Caso
realizza il Saggio sulla flora alpina al colle dellAssietta; nel 1881 il
Club Alpino di Susa pubblica la sua opera più significativa, La flora
segusina di Francesco Re, traduzione, anzi rifacimento di uno studio in
francese del 1805, in cui segue un nuovo metodo di classificazione,
ampliando la catalogazione delle piante e soffermandosi sul loro valore
terapeutico.
Il suo impegno per la povera gente che in quel periodo dava vita al più
drammatico esodo migratorio verso le Americhe lo spinse ad essere uno dei
fautori della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Piedimonte, che mirava
appunto a combattere la condizione di indigenza della popolazione.
Soltanto nel 1875 tornò alla politica quando venne eletto Consigliere
Provinciale: non furono i suoi compaesani, bensì gli elettori del mandamento
di Capriati al Volturno, che forse serbavano miglior memoria di quanto Caso
avesse fatto per quelle zone.
Proprio quello stesso anno, trasferendo sul piano pratico i suoi studi
naturalistici fondò lOsservatorio Meteorologico di monte Muto; era la prima
volta che una struttura del genere veniva localizzata sullAppennino
meridionale. Ed anche questa volta Caso intervenne economicamente
nell'allestimento della specola, i cui rilevamenti su precipitazioni, venti
e temperature, hanno fornito fino al 1940 un prezioso supporto al
miglioramento dell'agricoltura locale.
All'età di 59 anni, dopo dieci ore di agonia, in seguito ad un ictus
cerebrale Beniamino Caso morì nella sua casa di Piedimonte il 13 ottobre
1883. Le orazioni funebri furono tenute dai deputati Pietro Rosano e Filippo
Teti, che sottolinearono soprattutto il suo impegno di patriota negli
avvenimenti del 60 con la costituzione della Legione del Matese,
associandone il nome a quello di Salvatore Pizzi, suo amico e compagno nelle
vicende unitarie.
Più tardiva fu l'opera di riconoscimento della figura di Caso e della sua
dedizione alla terra natìa ed alla patria. La prima commemorazione si tenne
tre anni dopo la sua morte quando, su proposta di Angelo Scorciarini
Coppola, venne apposta una lapide commemorativa della specola di monte Muto
nel convento di S.Maria Occorrevole, nella quale si rammenta la figura
dell'uomo che per tenacità di onesti propositi - per amore del bene e del
giusto - per civili e private virtù senza iattanza rifulse.
Gli uomini della montagna furono solerti nel ricordare l'appassionato
escursionista e già e nell'agosto del 1898, sulla cima del monte Miletto, la
sezione napoletana del CAI inaugurò il Rifugio Beniamino Caso alla presenza
di moltissimi iscritti provenienti da numerose sezioni del centro sud. A 25
anni dalla scomparsa, nel 1909 il Comune di Piedimonte, sindaco il nipote
Vincenzo Caso, fece apporre una lapide sulla facciata di palazzo Caso, nella
piazza centrale del paese. È un tardivo riconoscimento del ruolo primario da
lui svolto nella creazione della Legione del Matese e un attestato di merito
al suo alto ruolo morale.
Petella Giovanni
(1857-1935)
Nel 1890 rappresentò i medici italiani al X Congresso internazionale di
Berlino, dove, egli per primo, volle gli articoli addizionali della
Convenzione di Ginevra per la Croce Rossa. Diresse i lavori preparatori
dell'XI Congresso internazionale a Roma nel 1893 e nel '99 fu preposto al
reparto oftalmico della Marina creato apposta per lui.. Nel 1903 divenne
Libero Docente in Patologia e Clinica oculistica all'Università di Torino.
Dopo 9 anni d'imbarcazione, tornato a terra, diresse vari ospedali, e nel
'14, alla Scuola di Sanità della R. Marina dettò il suo apprezzato "Corso
di propedeutica oculistica". Poliglotta autodidatta, rappresentò
l'Italia ai congressi oculistici di Berlino e Utrech, e fu delegato della
Marina al Congresso nazionale contro il tracoma (1906). Sono sue 105
pubblicazioni. Diresse per anni gli annali di medicina navale e
coloniale.
Visco Francesco
(1875-1963)
Libero docente di pediatria all'Università di Napoli. Nel 1912, precorrendo
i tempi, ideò e fondò a Napoli il Pro Infantia, istituto di igiene
infantile con corsi di puericultura e assistenza pratica, elevato ad ente
morale con decreto del 28 ottobre 1917, la prima istituzione del genere in
Italia. E' stato delegato all'assistenza degli esposti di Napoli e del
Consiglio prov. di Sanità nonché consigliere provinciale di Caserta. E'
stato anche proprietario e redattore del periodico scientifico
Pro Infantia.
Caso Giovanni
(1896-1958)
Ha onorato la sua terra con la cultura scientifica. Libero docente di
Medicina del lavoro all'università di Napoli (1932) lascia il suo nome
affidato a 59 pubblicazioni che trattano una materia quanto mai attuale. E'
stato sindaco, deputato nel 1946, senatore nel 1948 e Direttore sanitario
delle terme di Agnano. Egli ha scritto anche di argomenti politici,
religiosi e sociali; Dal sindacato di classe allo stato corporativo
(1929) e Itinerari sociali (1957), sono due tappe della
sua vita e del suo pensiero. Ma è nel campo delle malattie del lavoro che
lascia un'orma cogli studi sulle dermatosi professionali, sull'ordinamento
dei servizi igienico-sanitari in Italia, sulle malattie dei cotonieri, sul
benzolismo professionale precoce, le affezioni cardio-vascolari del lavoro,
le deviazioni della colonna vertebrale nei contadini, le alterazioni del
sangue in rapporto alla fatica e all'alimentazione, ecc..
Ma a dire una svolta significativa alla sua vita fu lincontro con
don Zeno Saltini che era venuto a Piedimonte per il novenario
dellImmacolata. Fu proprio grazie allincontro tra i due personaggi che il
1° settembre 1944 nacque, per iniziativa dello stesso Caso, lOpera dei
Piccoli Apostoli di don Zeno, e con l'aiuto di don
Pasquale Panella, le
R.o.s.e. dell'Ausiliatrice ad Alife.
Dopo la chiusura, da parte del governo centrale, dell'opera di don
Zeno, lOpera Sociale dei Piccoli Apostoli fu affidata ai
Salesiani nel 1954, per i quali Caso promosse il grande complesso
edilizio di scuole, oratorio, officine, campo sportivo.
Oltre al suo impegno per Piedimonte vennero istituiti
oratori anche ad Alife, San Gregorio, Gioia, Sant'Angelo, Prata Sannita.
Al Parlamento (8 maggio 1948-24 giugno 1953), fu componente della XI Commissione legislativa del Senato per
la Igiene e Sanità; Commissario Governativo allIstituto Case Popolari di
Caserta; Commissario Nazionale della Mutua Coltivatori Diretti; Presidente
del Fronte della Famiglia di Napoli; Co-fondatore della Casa dello
Scugnizzo di Napoli; istituì, per primo in Piedimonte, il servizio
schermografico, che controllò 1600 fanciulli del popolo; ottenne il ricovero
gratuito a 25 ragazzi poliomielitici nelle cliniche ortopediche di Napoli,
Roma Bologna; istituì la prima cassa mutua per malattie presso la Cartiera
Martino; realizzò il grandioso stadio comunale di Piedimonte.
Proprio quando era allapice della sua attività politico-sociale, nel
maggio 1958 venne stroncato da in infarto mentre svolgeva un comizio nel
teatro Mascagni.
D'Amore Giovan Giuseppe
(1901-1969)
Nel 1944 fu direttore tecnico dell'ospedale civile, dal '55 al '65 fu medico
capo della cassa mutua coldiretti di Caserta, sindaco di Piedimonte nel
'56-'60, nel '66-'69 presiedette l'amministrazione dell'ospedale civile. E'
stato anche decorato della croce di guerra in A.O.I. e nella seconda guerra
mondiale. Ha al suo attivo una decina di pubblicazione a carattere
medico-scientifico.
Gaetani d'Aragona
Guido (1923-?)
Specializzato in Chirurgia è divenuto Libero docente in Semeiotica
chirurgica. Ha dato alle stampe più di trenta pubblicazioni scintifiche.
Scorciarini Angelo
junior
(1923-1979)
E' salito 35enne sulla cattedra universitaria, come Libero docente di
Oculistica all'Università di Bologna e membro della Società Oftalmologica
Italiana. Conta al suo attivo 27 pubblicazioni di medicina oculistica, che
trattano di difetti e malattie, di terapia chirurgica, di nuove medicine, e
cure specialmente di studi sulla retina.
Scorciarini Angelo
senior (1852-1939)
Nasce
a Piedimonte d'Alife (Benevento) il 14 marzo 1852. E' agricoltore,
banchiere, medico chirurgo.
Pur essendo medico approfondì la scienza e le tecniche agrarie.
Deputato del Regno nella XXII e XXIII Legislatura, era amico di Luzzatti, G. Fortunato, Giolitti, Ranieri Ministro dell'Agricoltura.
Durante il suo mandato fu promotore del progetto di legge, non realizzato,
finalizzato alla separazione della frazione di Pratella dal Comune di Prata
Sannita e alla sua costituzione in Comune autonomo. E di altre iniziative
parlamentari inerenti l'esercizio e la realizzazione di alcune strade
rurali.
A lui
si deve la prima cattedra provinciale d'Agricoltura e la fondazione di molti
consorzi cooperativi agrari. Fu lui a fondare la Scuola Agraria, la Banca
del Matese, a volere la via del Matese, di Valle Agricola e di Gallo-Letino,
e i ponti di Raviscanina e Castelcampagnano, le briglie di Valle Paterno e
Valle del Torano. Introdusse nuovi metodi agrari e nuove razze animali.
Morì a Piedimonte d'Alife (Benevento)
il 10 aprile 1939.
Gaetani d'Aragona
Livio (1901-?)
Lo consideriamo un piedimontese per la sua famiglia plurisecolare e perché
vissuto qui.
Ha percorso con successo gli studi agrari, è stato Libero docente di
Ecologia. In provincia di Benevento fu presidente delle cattedre ambulanti
di agricoltura e del Consorzio agrario provinciale. A Roma è stato
segretario del Sindacato nazionale dei tecnici agricoli, Segretario della
Camera nella XXIX Legislatura e Questore nella XXX, Commissario governativo
dei consorzi riuniti di bonifica della Campania (1938-41), Vice presidente
dell'Ordine degli Agronomi e dell'Associazione Nazionale Bonifiche e
irrigazioni. A Piedimonte fece finanziare il viale Balbo, poi detto della
Libertà. Nel dopoguerra è stato estensore col prof. G. Medici, del Piano
generale di bonifica del comprensorio aurunco; ha presieduto la Commissione
per la bonifica del Basso Volturno e, a Piedimonte, il Consorzio di bonifica
del Medio Volturno. E' autore di circa 19 pubblicazioni tecniche negli anni
anteriori alla guerra; nel dopoguerra ha collaborato con quotidiani e
riviste agrarie ed ecologiche.
Ha fondato pure l'Associazione di famiglia fra i Gaetani d'Aragona (1975),
con un centro studi nell'ex palazzo Ducale di Piedimonte. E' stato anche
nominato Gr. Ufficiale della Corona d'Italia, ed ha ricevuto la medaglia
d'argento al valor militare, e dal '39 è stato membro dell'accademia dei
Georgòfili di Firenze.
Masella Angelo
(1900-1956)
L'uomo della modestia, dopo i suoi studi specializzati al Politecnico di
Torino, nel '28 entrava nella Società "E. Marelli" di Milano come Capufficio
Impianti, finché raggiunse la carica di Direttore centrale commerciale. Fu
anche consigliere dell'A.E.I. e dell'Associazione Nazionale Industrie
Eletttriche, consigniere e membro dell'A.N.I.M.A. (industria meccanica) e fu
promotore della rinascita dell'A.L.D.A.I.. Dette forte impulso alle
applicazioni del grande macchinario con il progetto e l'esecuzione di grandi
centrali, di impianti di propulsione navale e di sommergibili.
Gregorio Pietrangelo
(1928-2019)
Nasce
a Calabritto (AV), il 23 luglio 1928, è stato un ingegnere e inventore italiano,
pioniere delle televisioni libere italiane, fondatore della prima
televisione libera via cavo a Napoli il 23 dicembre 1966: Telediffusione
Italiana Telenapoli.
Appena fanciullo segue i suoi genitori a Piedimonte Matese dove vi dimora
fino agli sessanta e dove tuttora vive la figlia Annamaria. Negli anni
sessanta si sposta prima a Napoli e poi in Francia, dove si laurea in
ingegneria elettronica ed ottica. Si dedica inizialmente alla ricerca,
realizzando ben 300 brevetti per conto proprio e per conto di imprese di
rilevanza mondiale.
Ma i mezzi di comunicazione sono il suo vero interesse; sicché dopo aver
fondato e diretto nel 1965 la breve vita del periodico locale, Il Corriere
del Matese, più per amore verso il suo paese adottivo Piedimonte Matese nel
1966, proprio a Napoli, Gregorio crea la prima televisione privata italiana.
Si tratta di un'emittente via cavo che, nonostante il modesto magazzino di
programmi, ben presto si diffonde in numerosi locali pubblici di Napoli.
Visto il successo dell'iniziativa, Gregorio inizia a collegare anche i
privati e, dall'embrionale ditta individuale, il 17 dicembre 1970 con atto
del Notaio Tafuri viene costituita la società «Telediffusione Italiana».
Nel 1971 Telediffusione Italiana è la prima emittente italiana a produrre ed
irradiare trasmissioni televisive a colori. Viene ripreso a colori l'intero
Cantagiro di Ezio Radaelli.
L'attività di Telediffusione Italiana si svolgeva (e così veniva
considerata) come una normale trasmissione a circuito chiuso, sia pure con
diversi chilometri di cavo.
Nel 1975 Telediffusione Italiana si era talmente ingrandita da essere
considerata la più importante TV cavo d'Europa[senza fonte], con 380 km di
cavo primario, 150 dipendenti, 15 giornalisti e 6 studi televisivi a colori.
Il 17 settembre 2018 gli vengono consegnate, dal sindaco Luigi de Magistris,
la targa e la medaglia d'oro della Città di Napoli per i propri meriti e in
segno di gratitudine dalla città che lo ha adottato e a cui si è dedicato
con tutte le sue forze. Anche Piedimonte Matese, il
15 dicembre 2018, con unapposita cerimonia, gli attribuisce la cittadinanza
onoraria. Morirà poco dopo, a Napoli, il 7 gennaio 2019.
Trutta Gian Francesco
(1699-1786)
Di famiglia oriunda napoletana, ma nato a Piedimonte,
fu instradato alle vie
del Foro dal famoso Pietro Giannone e per questo
si laureò in Diritto presso l'università di Napoli,
dove si fece
addottorare nell'una e nell'altra Giurisprudenza. Egli vestiva l'abito
ecclesiastico, e meritò, che gli fosse conferito, mentre era ancora in
minoribus, un Canonicato in una delle due Chiese Collegiali di
Piedimonte. Fece quindi un passaggio a Roma, dove venne ordinato Sacerdote,
e ritornato in patria, esercitò il ministero della divina parola in vari
luoghi del Regno e la professione di Avvocato nella Curia Vescovile di Alife.
Dopo aver servito per qualche tempo da Vicario generale l'Arcivescovo di
Nazaret, passò alla dignità di Arciprete di
Santa Maria Maggiore e Rettore del Seminario.
Esercitò, quasi continuamente, fino alla fine dei suoi giorni, la carica di
Provicario generale nella sua natia Diocesi.
Piedimonte e San Potito Sannitico gli hanno dedicato una via, e lo merita,
perché, anche se, a volte, il suo metodo storico non è sicuro, rimane un
illustratore innamorato della nostra terra, e la sua opera "Dissertazioni
istoriche delle antichità alifane (1776)" è per noi una miniera di
notizie. "II
Principe di Colobrano Francesco Carafa signore di Formicola stando in questo
suo feudo, nell'agosto dell' anno 1728 vi fondò una
Accademia
che disse del Caprario dal monte di tal nome, e dalla valle che gli sta a' piedi. E per impresa
fece ritrarre lo stesso monte Caprario, nella cui sottoposta valle stanno
tutti i pastori, cioè gli Accademici, e poi il Volturno. Questa Accademia di
poeti si compose di undici soci, tra i quali: Simone Barra di
Piedimonte di Alife (perché allora in
servizio come Segretario presso D. Niccolò Gaetani, ma in realtà
salernitano) detto Carneo, Francesco Trutta di
Piedimonte di Alife detto
Montano pastore del Matese, Niccolò Antonellis di
Piedimonte di Alife detto Mirtillo del
Matese e, successivamente, Giacomo Trutta di Piedimonte di Alife detto
Ameto Taurasio." (ARCHIVIO STORICO PER
LE PROVINCE NAPOLETANE PUBBLICATO A CURA DELLA SOCIETÀ DI STORIA PATRIA -
Anno Terzo Fascicolo I - NAPOLI, STABILIMENTO TIPOGRAFICO DEL CAV. F.
GIANNINI, 1878)
Egg Matilde
(? - 1961)
Scrittrice di fama internazionale, figlia di Giacomo Egg, anch'egli
piedimontese. Ha insegnato in varie città d'Italia ed è morta a Lima (Perù)
il 9 febbraio 1961.
Ha tradotto dal tedesco Egmont di Goethe (1922); ha scritto in
tedesco, francese e italiano: Die himmen von Manzoni; Leopardi und was
verbindet in Leben und Dichtung; Notes sur Villiers de l'Isle A.; Gattfried
Keller - Studio critico (1931), opera poderosa sul grande poeta e
romanziere svizzero, ecc.. Ha uno stile sicuro, un pensiero preciso anzi
programmatico, una cultura vastissima che essa rende attraente, ma che
soprattutto stupisce per quel metodo di trattare.
Manzo Antonio
(1929- ?)
Ha approfondito la filologia classica ed ha insegnato presso l'Università
Cattolica di Milano. Ha dato alle stampe una trentina di pubblicazioni,
molte delle quali in riviste specializzate. Ha parlato ai congressi
internazionali di Bucarest su Ovidio, di Malta su Varrone. Ricordiamo i
Facete dicta di Cicerone (1969) presentato dall'illustre latinista B.
Riposati, il commento all'Eneide, alle Metamorfosi di
Ovidio. Approfondito anche nel campo storiografico ha collaborato
all'annuario dell'A.S.M.V..
Malatesta Michele
Conoscitore di varie lingue e appassionato agiògrafo e
liturgista, insegna presso l'Università di Napoli. Sono sue approfondite
pubblicazioni: Leibnitz e il problema dell'unità delle Chiese
(1965); La critica humiana della causalità (1970); La logica
delle relazioni nella Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino (1973);
Logistica e filosofia
(1974); Le preposizioni condizionali nel Compendium Logices di G.
Savonarola (1977); nonché varie e dotte recensioni.
Paterno Ludovico
(1533-1575)
Nell'antica casa Paterno, presso il Vico Fasocchi, sulla vecchia Piedimonte
egli nacque il 12 febbraio 1533, da Achille e Angela Aldomorisco*. Era di piccola nobiltà, e perciò in
gioventù fu cavaliere e servì il marchese di Cardines. Viveva a Napoli, a
San Giovanni a Carbonara, e passava le soste a Piedimonte, nella sua
villetta presso Monticello. Spesso nella valle di Alife - in omaggio a lui
detta Valle Paterno - si recava silenziosamente a poetare. All'imitatore
della poesia petrarchesca capitò quel che era capitato a Petrarca:
s'innamorò di una donna lontana ed irraggiungibile, che perciò perdette ogni
traccia di terreno e di reale, e divenne un'idea, un sogno evanescente, il
fantasma obbligato del suo bisogno di fantasticare. Questa donna-sogno da
lui chiamata Mirzia, fu la bellissima Lucrezia Montalto, sposa del conte
Luigi Gaetani e poi, morto questi, moglie di Cesare Cavaniglia conte di
Troia e Montella. Nel 1560 furono stampate per la prima volta le Rime
del Paterno, in Vita e in Morte di Mirzia, con il titolo: Nuovo
Petrarca di M. Lodovico Paterno, distinto in quattro parti. La
prima e la seconda parte in Vita e in Morte di Madonna Mirzia, la
terza di vari soggetti e la quarta de' Trionfi, dedicato al
Sererissimo Re Cattolico Filippo d'Austria, stampato in
Venezia per il Bevilacqua nel 1560. L'uscita del libro tirò
addosso al Paterno l'ira universale per aver osato intitolare il suo libro
"Nuovo Petrarca". In verità tale titolo fu idea del suo editore Luigi
Valvassori e non dello stesso Paterno che, per questo, se ne dolse con
l'editore. Le suddette Rime
furono ristampate in Napoli in due tomi nel 1564 con titolo
La Mirzia di M.
Ludovico Paterno
parte prima, e parte feconda presso Gio. Maria Scotto;
accresciuta di rime e capitoli e, nel 1568, la parte terza in Palermo per
Gio. Matteo Maida.
Le sue Nuove fiamme furono con
diligenza rivedute, e ristampate in Lione da Guglielmo Rovillio nel 1568. II
bellissimo Sonetto Teologico, che incomincia Dio, che infinito...
"verrà considerato e onorato della debita lode dal Dottor Lodovico
Antonio Muratori nel suo Trattato della Perfetta Poesia Italiana tom.2,.
pag.418.
Scrisse sedici Satire. Nelle poesie liriche non è privo di eleganza. Amò una
Mirzia: e di lei cantando, scherzò molte volte sul mirto, come il Petrarca
aveva scherzato sul lauro. Il sonetto qui riportato viene detto dal Muratori
"grande e perfetto nel genere suo".
Dio, che infinito in infinito movi
Non mosso; & increato e festi, e fai;
Dio, chin Abisso, en Terra; en Ciel ti trovi;
En te Cielo, en te Terra, en te Abisshai;
che mai non invecchi, e innovi mai;
E quel, chè, quel, che fu quel, che fia, provi;
Né mai soggetto a tempi o vecchi, o novi,
Te stesso contemplando il tutto fai;
bil Virtù, Splendore interno,
Chempj, & allumi il benedetto chiostro;
Sol, che riscaldi, e infiammi e buoni e rei;
o più grande allintelletto nostro,
Immortale, invisibile, & eterno.,
Quanto che non compreso, il Tutto sei. (Il
benedetto chiostro, del verso decimo, è il paradiso).
Quando la gioventù era ormai passata, messer Ludovico, celibe e molto
religioso, entrò, sembra, fra i Domenicani, e morì a soli 42 anni nel
convento di Aversa.
Il Paterno, studioso di lettere classiche di vasta cultura, iniziò la poesia
"barbara", d'imitazione del latino, e fu letto, apprezzato e imitato. Il
valore della sua poesia rimase alto fino a tutto il '700, finché cioé fu un
canone l'imitazione dei grandi autori classici. Dal Romanticismo in poi
decadde e fu dimenticato. Il prof. RODRIGO CACHO CASAL ha pubblicato nel 2004,
sul n.593 del Giornale Storico della Letteratura italiana:
Ariosto, Paterno e la satira sul prendere moglie: tra imitazione e
contestazione. Argomento del saggio è la personale lettura ed imitazione
che lo scrittore napoletano Ludovico Paterno fece della famosa
quinta satira di Ludovico Ariosto, dedicata al tema matrimoniale, nella sua
satira dal titolo "Al S. Antonio Rota. Mostra a costui come et quando
moglie ha da prendere, et che bisogna fare poiché gli s'è condotta a casa".
Tra le profonde divergenze dal modello individuate dall'A. si segnalano, sul
piano metrico, l'adozione dell'endecasillabo sciolto in luogo della terza
rima, mentre su quello più specificamente contenutistico l'atteggiamento nei
confronti del matrimonio, che nel caso di Paterno è notevolmente più
concreto, pratico e intriso di cinismo di quello dell'Ariosto. Una "lettura
rovesciata" del modello ariostesco, in breve, quella compiuta da Paterno
nella sua satira, destinata peraltro ad un pubblico "meno aristocratico e
decisamente 'borghese'". Alcuni testi del Paterno sono ancora reperibili
presso la "Libreria Antiquaria Gonnelli" di Firenze.
*
(Fondation BARBIER-MUELLER pour
l'Étude de la Poésie Italienne de la Reinassance, Librairie Droz S.A:,
Genève, 2007)
Caruso Enrico
(1873-1921)
Nacque a Napoli tre mesi dopo che i suoi genitori, Marcellino e Giovanna
Baldini, vi si erano trasferito per motivi di lavoro. Ma Piedimonte era il
suo rifugio, qui tornava quel che era, modesto e ilare. Fra i suoi amici
commetteva bizzarrie, come ad esempio il cantare di notte al Mercato.
Accettò colla sua solita effusione, la nomina a membro d'onore della nostra
Società Operaia (1909). Si ricorda la sua presenza anche tra i coristi della
novena di San Marcellino, il santo patrono locale. La sua
biografia
completa è presente su tutti i mass media.
Mattera Gino
(Pesci, 14 marzo 1923 - Taranto, 25 aprile 1960)
Cittadino adottivo di Piedimonte da che aveva pochi mesi, morto quando la
notorietà l'aveva raggiunto. Ha cantato da tenore all'Opera di Roma nel '47,
al Massimo di Palermo, al Mercadante di Napoli. Alla radio, fin dal '46, e
alla televisione proprio dal primo concerto. Fu ricercato in concerti, ed ha
compiuto tournées in Austria (teatro di Stato), Germania, Gran
Bretagna (Covent garden), Spagna, Turchia, Egitto, Brasile, Australia, Nuova
Zelanda, Pakistan e Malesia. Ha inciso dischi per le case Cetra e Ricordi, e
in Australia.
Datosi al cinema, è stato protagonista, colla CEIAD Columbia, nei films
La signora delle camelie (Traviata) e La leggenda di Faust di
Gounod, e colla DEAR Film in Senza veli e in Amore di Norma.
Ha partecipato a Casta Diva, Casa Ricordi, Arrivederci babbo con A.
Sordi, Ercole e la regina di Lidia, Le fatiche di Ercole, Caccia alla volpe per la regia di Vittorio De Sica. Fu sulla
stampa e sulla critica d'arte e, qunado cantò l'Arlesiana, ebbe le
ammirate congratulazioni del maestro Cilea. L'ultima opera Si j'étais
roi, fu da lui preparata a Piedimonte con Enrico Caruso, proprio come
la prima.
De Benedictis Domenico
(1610-1678)
Artista di ignorato valore perché modesto, fu iniziato all'arte dal
Santafede, poi passò a Roma, ove divenne uno dei duecento allievi di Guido
Reni. A Napoli si fece un gran nome come ritrattista, e per gli affreschi in
Donnaregina (si contempli la movimentata Assunzione). Qui, a Piedimonte,
forse dell'ultimo periodo di vita, si conserva una Madonna nelle scale di
casa, e un dolorante San Bartolomeo al museo. Nella peste del 1656 si
rifugiò nel suo paese natale, ma anche qui la peste mieteva vittime, e si
dovette rifugiare in una masseria presso Sepicciano. Morì nel 1678 e fu
sepolto in San Domenico.
Secondo quanto riportato da Bernardo De Dominici nel suo
Vite de pittori, scultori ed architetti napoletani", Stamperia del
Ricciardi, Napoli 1742, "Domenico de Benedittis
è nato circa il 1610, nella Terra allora, ora città di Piedimonte d'Alife,
sentissi da fanciullo inclinato al disegno, laonde in Napoli ebbe i primi
rudimenti dell'arte da Fabrizio Santafede, indi passato in Roma con un suo
congiunto in tempo che vi fiorivano tanti valenti Pittori, s'invaghì
dell'elegante maniera di Guido Reni, onde volle suo discepolo divenire, e
con la scorta di quel raro maestro, valentuomo divenne; come si vede
nella volta della Chiesa di D. Regina dipinta a fresco, ove in quadri
ripartiti fra cornici di stucco dorati, ha espresso la Vita della B.
Vergine, con altre belle figure, e virtù simboliche della gran Madre del
Salvatore; quali pitture ebbero molta lode dagl'intendenti, essendo condotte
su lo stile di Guido, che vale a dire, ma con perfetta maniera. Dicesi, che
Domanico dipingesse altre opere per lo Regno, e per vari particolari, delle
quali non avendo noi niuna notizia, passaremo a far parola, come allettato
dall'amor per la Patria, e dei congiunti, si ritirò a Piedimonte, ove
essendo ben agiato de' suoi averi, attese a darsi diporto, dipingendo per
genio, e per alcun suo conoscente, finché giunto all'età di 68 anni, lasciò
di vivere circa gli anni 1678".
Carullo Giovanni
Antonio (1872-1933)
Fu prima modesto impiegato del Banco d'Italia a Rio de la Plata in
Argentina. Dotato di grande intraprendenza, fondò a Mendoza il Banco Italo
Español de Cuyo, che acquistò grande importanza, e finanziò l'agricoltura e
la piccola industria. Con esso costruì la Mendoza nuova, 150 palazzi in un
grande parco. Dilettante di astronomia, impiantò sulla casa un osservatorio,
che fu riscattato alla sua morte dal Governo dello Stato, com'era sua
intenzione. Non dimenticò Piedimonte, cui donò il cannocchiale e dove inviò
vistose somme alla banda, ai poveri, alle associazioni che lo nominarono
socio onorario. Ha pubblicato El momento politico-economico actual
(1933) e vari studi di economia.
Gaetani d'Aragona
Giuseppe (1640-1710)
E' stato un patriarca cattolico, diplomatico. Giuseppe era figlio di Alfonso
(1609-1644), 2º duca di Laurenzana, conte di Alife, principe d'Altamura,
signore di Piedimonte di Gioia di Dragoni e di Porzia Carafa (1608-1652),
già vedova di Ferdinando Caracciolo duca d'Airola. La coppia ducale ebbe
molti figli: Francesca (monaca), Giulia (monaca), Francesco (1633-1653),
Antonio (1638-1710), quindi Giuseppe, Anna Maria (monaca) e Diana. Giuseppe
Gaetani il 15 marzo 1646 fu ammesso tra i cavalieri di Malta.
La prematura scomparsa del fratello maggiore, Francesco, morto senza
discendenti, spostò i diritti di primogenitura sul figlio maschio
secondogenito, Antonio, che nel 1653 divenne 4º duca di Laurenzana.
Giuseppe scelse la carriera ecclesiastica: consacrato arcivescovo il 15
marzo 1676 dal cardinale Francesco Nerli, coadiuvato dall'arcivescovo
Antonio Pignatelli, futuro Innocenzo XII, e Stefano Brancaccio, dal 24
febbraio 1676 fu arcivescovo titolare di Neocesarea del Ponto, il 2 maggio
1695 divenne patriarca titolare di Alessandria dei latini - incarico che
tenne fino alla morte - e dal 4 aprile 1676 al 15 giugno 1678 fu nunzio
apostolico a Firenze.
A Roma gli furono affidati incarichi: presidente del porto di Ripetta e
uditore generale della Curia delle cause apostoliche. Aveva una residenza
nella Rocca di Frascati e a Roma abitava al piano nobile di palazzo Caetani,
con affaccio su piazza Santi Apostoli.
Rimase sempre attaccato a Piedimonte d'Alife, feudo di famiglia, dove sua
madre aveva fondato un convento e insieme al marito aveva creato un teatro.
La cappella della famiglia Gaetani era nella chiesa dei Cappuccini.[1] Alla
morte di Giuseppe Gaetani una tela con Madonna e Bambino che era nella sua
camera da letto, fu messa sull'altare della cappella di famiglia, dove
Giuseppe Gaetani fu sepolto. (Wikipedia)
di Piedemonte Antonio
(XIV sec.)
Capitano di ventura, comandava un suo squadrone, e fu presente
all'incoronazione della regina Giovanna II, che egli serviva. Ma nulla si sa
di lui.
d'Agnese Ercole
(1745-1799) Nato da Vincenzo e Eleonora Melchiorre, nobile famiglia trasferitasi da Napoli a Piedimonte ove nacque il 3 maggio 1745, è cittadino piedimontese. Dopo la prematura morte del padre la madre si risposò poco dopo. Ancora adolescente fu affidato alle cure dello zio arciprete, molto severo. Fu educato nel nostro collegio di San Tommaso dei Domenicani, poi, studente a Napoli, aderì alle ideologie razionalistiche che venivano dalla Francia. Divenne perciò la pecora nera della famiglia, e lo zio D. Domenico, canonico di S. Maria, lo cacciò di casa. A Napoli era sotto le cure di un altro zio, avvocato, che a differenza del primo lo trattò amorevolmente. A Napoli entrò nel collegio dei Domenicani dove fu allievo di padre Ottavio Chiarizia, fervente fautore di una confederazione delle nazioni europee. DAgnese rimase affascinato da tali insegnamenti e, per questo, tenuto d'occhio anche a Napoli. Nel 1774 emigrò clandestinamente in Francia con il nome di Ercole Giraud, ove vi dimorò per circa 20 anni. Da prima a Ecaylly, Aix-La-Chapelle, presso Lione, dove aprì uno studio privato e poi a Parigi dove continuò ad insegnare filosofia e diritto. A Parigi sposò donna Paolina Thibouthier, nipote del conte André Joseph Abrial, e dalla quale ebbe due figli. Lì la rivoluzione era trionfante e l'esule napoletano ne avvicinò gli esponenti. Egli militava fra i Giacobini e viveva a Marsiglia, dove ormai insegnava privatamente. Partecipò ai moti rivoluzionari francesi del 1789 e subito dopo fu commissario della Repubblica francese nel dipartimento del Rodano. Una volta rientrato in Italia, con Abrial, a seguito dell'esercito rivoluzionario francese, d'Agnese fu scelto quale membro del Comitato esecutivo e poi Presidente della repubblica partenopea. Si rese celebre per la fermezza dei suoi princìpi e per lo zelo profuso nel rendere salda la Repubblica. Quando l'esercito borbonico, le bande di Fra Diavolo e la flotta inglese di Nelson costrinsero i rivoluzionari alla resa senza condizioni simbarcò, secondo i patti stabiliti, su una delle 14 polacche ormeggiate nel porto e pronte a salpare con destinazione Tolone, in Francia. Ma, violati gli accordi sottoscritti, anche il nostro d'Agnese, assieme ad suoi compagni di sventura, venne arrestato il 3 agosto e trascinato in catene sul vascello inglese Foudroyant, nave ammiraglia di sir Horatio Nelson e successivamente nel carcere del Carmine. Egli fu condannato a morte quale traditore e collaboratore degli invasori stranieri e per questo condannato a morte per impiccagione. Il 30 agosto, prima di essere accompagnato alla presenza del boia si avvelenò. Seppure moribondo lesecuzione fu rinviata di un solo giorno. Trasportato al patibolo agonizzante, sopra una sedia, venne impiccato nella Piazza del Carmine a Napoli il 1° ottobre 1799.
Pepe Luigi
Luigi
Pepe è nato a Piedimonte Matese (Caserta) il 3 agosto 1947. Laureato in Matematica
presso lUniversità di Pisa nel 1969, è stato assistente e professore
incaricato presso le Università di Pisa, Trento e Ferrara. Dal 1976 è
professore ordinario presso lUniversità di Ferrara. Dal 1986 è titolare
della cattedra di storia delle matematiche.
E stato invitato a tenere conferenze presso molte Università straniere
(Parigi VII, Lione, Nantes, Cambridge, Saragozza, Valencia, Los Angeles,
Pechino, Hannover, Montpellier, Liegi, Atene, Mosca, Hyderabad, Budapest,
Amsterdam, Utrecht) e in quasi tutte le università italiane.
Fa parte del comitato scientifico di quattro riviste scientifiche italiane (Physis,
Annali di Storia delle Università Italiane, Educazione Matematica, Annali
dellUniversità di Ferrara sez. VII), della rivista di storia delle
matematiche dellAccademia delle scienze di Russia ed è vicedirettore del
Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche.
Ha coordinato per la sede di Ferrara numerose ricerche PRIN finanziate su
fondi nazionali e ricerche finanziate dal CNR e dallIstituto Nazionale di
Alta Matematica. Ha diretto a Ferrara per decenni le ricerche finanziate
dallAteneo nel campo della storia delle matematiche. Ha organizzato tre
convegni internazionali dellINDAM sulla storia delle scienze matematiche e
delle istituzioni scientifiche.
Unisce lattenzione per la storia delle scienze matematiche a quella per le
istituzioni scientifiche. E autore di oltre duecentocinquanta
pubblicazioni
in riviste specializzate italiane e straniere, sottoposte a
referee o in volumi a cura dei maggiori specialisti internazionali nel campo
dellanalisi matematica e della storia delle matematiche. Tra queste
figurano una ventina di monografie, dedicate a Copernico, Lagrange, Monge,
agli Istituti Nazionali ecc., presenti nei cataloghi delle biblioteche
centrali delle più note Università statunitensi (Harvard, Yale, Berkeley
ecc.) e delle biblioteche nazionali (Parigi, Londra, Vienna, ecc.).
Le ricerche del Prof. Pepe, esposte in larghissima maggioranza in lavori ad
un solo nome, afferiscono ad un settore non bibliometrico (MAT/04). Nel
2016 ha pubblicato unampia monografia sulla storia degli insegnamenti
matematici in Italia, recensita favorevolmente da numerose riviste
internazionali. I suoi studi sulla storia delle scienze e delle istituzioni
scientifiche, e in particolare sugli insegnamenti matematici e tecnici, sono
noti e citati dagli specialisti di storia delle Università europee. Per le
sue ricerche sulla storia dellUniversità di Ferrara è stato incaricato a
tenere la prolusione per lanno accademico 2017-18.
Ha ricoperto numerose cariche istituzionali presso lUniversità di Ferrara
(presidente del corso di laurea, membro del senato accademico integrato,
membro del consiglio di amministrazione, decano dellUniversità ecc.). Ha
diretto, nella fase di fondazione, la SISS, per la formazione degli
insegnanti, in convenzione con le Università dellEmilia Romagna.
E segretario del Comitato per la pubblicazione delle opere di Gaetano
Salvemini, membro del comitato scientifico della Fondazione Bassani, socio
dellAccademia delle Scienze di Ferrara e della Deputazione Ferrarese di
Storia Patria, componente dellistituto per la storia del Risorgimento
(comitato di Ferrara), socio dellAcadémie Internationale dHistoire des
Sciences. E stato presidente della Società Italiana di Storia delle
Matematiche.
Ha tenuto corsi presso lINDAM, lUniversità di Trento e lUniversità di
Ferrara (Analisi matematica, Calcolo delle variazioni, Storia delle
matematiche, Storia degli insegnamenti matematici). Ha fatto parte in modo
continuato del Collegio di Dottorato dellUniversità di Ferrara, dirigendo
il lavoro di tesi di diversi ricercatori nel campo della storia delle
matematiche. Rappresenta lUniversità di Ferrara nel Centro
Interuniversitario per la Storia delle Università italiane (CISUI).
l prof. Luigi Pepe è stato nominato professore emerito
nellUniversità di Ferrara. La nomina è stata deliberata all'unanimità dal
Dipartimento di Matematica e Informatica dellUniversità di Ferrara nella
seduta del 17 gennaio 2018. La Mathesis si dichiara onorata di annoverare la
personalità del prof. Luigi Pepe fra i suoi soci e grata gli ha espresso le più
sincere felicitazioni. (fonte:www.mathesisnazionale.it)
Marrocco Dante Bruno
(1915-2006)
Laureato in Lettere e in Filosofia
presso l'Università di Napoli, ha insegnato presso vari istituti di Terra di
Lavoro. Dal 1968 al 1974 è stato preside del Liceo Scientifico di Piedimonte
Matese. Dal 1949 è ispettore onorario ai Monumenti e direttore del Museo
Civico. Nel 1965 ha ripristinato l'Associazione Storica ricoprendone, da
allora, la carica di Presidente. Ha stipulato a favore dell'ASMV
(Associazione Storica del Medio Volturno) l'atto di donazione di un
fabbricato di sua proprietà in Piedimonte Matese, via Sorgente 4/6. Ha
curato il testo delle lapidi murate dall'Associazione Storica. Può essere
considerato, senza ombra di dubbio, il massimo studioso di storia locale e
non solo. Numerose sono le sue monografie lasciate ai posteri. Tra queste ci
piace ricordare il caposaldo, Piedimonte Matese (I ediz. 1961, II
ediz. 1980, III ediz. 1999), La Guerra nel Medio Volturno nel 1943
(1974), La Guida del Medio Volturno (1985). Oltre 20 Quaderni
di cultura, Documenti per la storia dei Paesi del Medio Volturno,
articoli su stampe varie, guide turistiche ed opuscoli commemorativi.
Questo il
link della sua nutrita bibliografia.
Sanseverino Gaetani
Aurora (1669-1726)
Nata a Saponara (Grumento Nova, oggi Grumento, Potenza, il 28 aprile 1669,
morì a Napoli il 2 luglio 1726). Figlia di Carlo principe di Bisignano e di
Maria Fardella, principessa di Pacecco.
Ebbe ottimi precettori e compì gli studi di latino, di filosofia, di pittura
e di musica anche se privilegiò sempre la poesia. Sposò nel 1680 Girolamo
Acquaviva di Conversano e, rimasta vedova nel 1681, si unì in seconde nozze
con Nicola Gaetani d'Aragona, conte di Alife e duca di Laurenzana.
La sua esistenza si alternava tra Napoli ed il Palazzo Ducale della famiglia
Gaetani a Piedimonte, vicino al quale fu costruito, per suo volere, un
piccolo teatro ed ella stessa partecipò come attrice a qualche
rappresentazione. Appassionata ed abile nella caccia al cinghiale, partecipò
ad alcune battute sui monti del Matese. Ebbe due figli,
Cecilia e Pasquale
ma entrambi morirono presto.
Di
formazione musicale e letteraria, entrò nel 1691 a far parte
dell'Arcadia romana, col nome di Lucinda Coritesia, e nel 1703
della Colonia arcadica napoletana Sebezia.
Ebbe
la fortuna di avere come maestri uomini illustri e celebratissimi del
secolo, come Leonardo da Capua, il Calabrese, il Vico. Venne commendata dal
Chiesa e dal Crescimbeni. Partecipò alle attività dell'accademia degli
Spensierati di Rossano, invitandone i membri ai salotti da lei intrattenuti
presso Napoli (a casa Gaetani a Port'Alba) e Piedimonte d'Alife Matese,
paese in cui fece edificare la chiesa della SS. Concezione di Maria ed il
monastero connesso (1710). Gli scritti di S., per lo più poesie, pur
denotando una certa fissicità nell'applicazione dei canoni arcadici, sono
appassionati e vivaci; varie raccolte poetiche le racchiudono: si
ricordino le Rime degli Arcadi (1716 e 1736), i Componimenti
poetici (1726) e la
Raccolta di rime di illustri napoletani (1702). La dimestichezza di
S. con la musica si esplicita nella corrispondenza corposa e duratura
(1698-1712) col musicista G. A. Perti, nella sua personale stesura dei testi
di numerose cantate (L'ipocondria, Dove del bel Torano,
Lucinda e Delia etc.) nonché nelle tantissime e lodate commissioni
date a celeberrimi compositori dell'epoca (A. Scarlatti, N. Giuvo, Händel),
cantate e musicate da virtuosi di fama internazionale. Generosa mecenate, S.
contribuì con il proprio gusto a influenzare la produzione dell'allora
prestigiosa Confraternita dei Sette Dolori e delle altre istituzioni
teatrali e musicali napoletane e a favorire l'intellighenzia locale
che stava apportando un rinnovamento culturale profondo che all'epoca poteva
apparire rivoluzionario.
Varale Vittorio
(1891-1973)
Vittorio Varale
nasce a Piedimonte d'Alife (oggi Piedimonte Matese in provincia di Caserta)
da genitori piemontesi, il 21 aprile 1891. Il padre Luigi era un agente delle imposte distaccato a Piedimonte,
come erano piemontesi la grande maggioranza degli esattori distaccati per l'Italia dopo l'Unità.
Ritorna nel 1901, a dieci anni,
nel Nord Italia. Nel 1908 interrompe gli studi e si impiega in una impresa
di costruzioni dove lavora anche Vittorio Pozzo. Nel 1909 dà alle stampe un
opuscolo dedicato a Giovanni Gerbi e sono del 1910 i primi servizi come
inviato sportivo. Nel 1911 segue, per conto della "Gazzetta dello Sport", la
corsa ciclistica Parigi-Torino. Collabora contemporaneamente al "Lavoro" di
Genova occupandosi di cronaca e di resoconti sportivi. 1915/1918: riformato
due volte, viene riconosciuto idoneo ai servizi sedentari ed esonerato
perché comandato alla direzione della "Gazzetta dello Sport" che condivide
con Ugo Toffaletti. Tullio Morgagni lo chiama al "Secolo Illustrato" per la
campagna di valorizzazione dell'aviatore in guerra. Fonda l'"Opera per
l'addestramento sportivo del soldato" (O.A.S.S.). Organizza manifestazioni
sportive per finanziare l'acquisto di attrezzi sportivi, medaglie, coppe e
palloni per i militari al fronte. Assieme al col. Tifi, consigliere della
Federazione di Ginnastica, inventa il "percorso di guerra". Nel 1922 diventa
direttore comproprietario di "Sport" detto "Sport giallo", successivamente
costretto a cederla. Da Alberto Masprone gli viene proposta la direzione
dell'ufficio miilanese del "Corriere dello Sport" di Bologna, giornale che
verrà rilevato da Leandro Arpinati e intitolato "Littoriale". Fra il 1922 e
il 1926 collabora con "Giustizia" e "Il Mattino".
1923: viene assunto dalla "Gazzetta dello Sport" alla direzione del reparto
pubblicazioni varie, opuscoli e volumi.
Nel 1926 conosce Mary Pellegrino che sposerà nel 1937: amante dell'alpinismo
Mary sarà la sua guida nell' avvicinamento alla montagna. Nel 1928 Curzio
Malaparte lo invita a collaborare con "La Stampa" per l'alpinismo ed il
ciclismo e viene inviato al Tour di Francia.
Dal 1928 al 1932 è redattore della rivista "Lo sport fascista".
Dal 1936 al 1943 è gerente della rivista "Relazioni
internazionali" e fino al 1943 è redattore de "La Stampa". In qualità di
redattore, il 25/7/1943 su richiesta di Cesare Fanti, assume la
responsabilità di firmare il giornale.
L'8 gennaio 1944 con circolare del Ministero della Cultura Popolare della
Repubblica di Salò, assieme ad altri 199 giornalisti e scrittori, gli viene
inibito l'esercizio della professione e viene espulso dall'ordine dei
giornalisti per "indegnità politica" ed è costretto alla clandestinità. Nel
1945 rientra a Torino e riprende il posto di lavoro a "La Stampa" dove viene
assunto il I° luglio quale redattore con mansioni ordinarie e capo dei
servizi sportivi. Viene eletto consigliere della ricostituita "Associazione
della Stampa Subalpina" resterà membro dei Probiviri fino al 1948. Collabora
anche con "La Gazzetta d'Italia".
Nel 1950 lascia "La Gazzetta del Popolo" e "La Gazzetta Sera" . Nel 1952
riceve il premio Pirelli per i servizi sul ciclismo. Nel 1954 viene premiato
col Saint Vincent per gli articoli sull'alpinismo. Nel 1961 l'USSI (Unione
Scrittori Sportivi Italiani) lo premia per una lunga serie di articoli
retrospettivi. Vince due premi letterari del CONI nel 1966 per il volume "La
battaglia del sesto grado" e nel 1969 per "I Vittoriosi". Infine nel 1969 il
Presidente della Repubblica, on. Giuseppe Saragat gli consegna il premio
Saint Vincent conferitogli dalla Federazione della Stampa per
"l'appassionata attività di giornalista svolta durante mezzo secolo". Nel
1963 perde la moglie Mary e, traumatizzato dal dolore, da quel momento
abbandona praticamente ogni collaborazione. Muore a Bordighera il 26
novembre 1973.
Del Giudice Gaetano
(1816-1880)
Gaetano del Giudice
nacque a San Gregorio il 4 novembre 1816. Poco si sa dei suoi anni
giovanili, salvo le sue amicizie a Napoli con i fratelli Poerio ed altri
giovani raccolti attorno a Silvio Spaventa; con essi dette vita al giornale
"Il Nazionale" il quale, seppure con idee moderate, tendeva a
raggiungere l'unità nazionale. Conseguì due lauree la prima di medico
speziale e la seconda in legge, tuttavia non esercitò nessuna delle due
professioni.
Nel 1848 fu eletto al Parlamento Napoletano di Terra di Lavoro e sedette nei
banchi dellopposizione. Gaetano del Giudice si trovò ad assolvere lingrato
compito di governatore delle Provincia di Capitanata proprio durante il
periodo più difficile: il 1860. Egli giunse in Capitanata nel settembre
1860, poco prima dellimminente Plebiscito, nominato da Garibaldi con il
compito di [
] vigilare sullo spirito pubblico e soprattutto, preparare
opportunamente la votazione nei diversi comuni, per evitare che si
verificassero disordini e sorprese nei risultati [
]. I governatori ed i
prefetti di Foggia negli anni del brigantaggio furono tutti settentrionali
da Bardesono a Stada a De Ferrari, con la sola eccezione di Gaetano Del
Giudice, prefetto di nomina politica.
Nell'aprile del 1861 fu eletto deputato nel collegio di Piedimonte: rimase
in Parlamento dall'VIII alla X legislatura (18161-1870) e sedette a
sinistra. Nel 1862 il capo del governo Urbano Rattazzi lo destinò a Foggia
come refetto, utilizzando ancora una volta l'esperienza del De Giudice nella
repressione del brigantaggio.
Fu iniziato Libero Muratore nella Loggia "Dante Alighieri" di Torino tra il
1862 e il 1865. Visse tra Napoli ed Apricena nella tenuta di famiglia La
Torre dove si spense il 9 maggio 1880.
"Governatore di Foggia era
Gaetano Del Giudice,
messovi da D. Liborio; che subito
s'era fatto Garibaldesco: accozza quanti può liberali, dugentocinquanta
Garibaldini, e pur due frati con fasce tricolorate, e accorre. La
popolazione al vederli da lontano piglia l'arme, uccide i ventisette nelle
carceri; ed esce incontro agli assalitori: a'primi colpi il Del Giudice va
in volta e ricovra in un convento di campagna. Al rumore si solleva pur S.
Marco in Lamis, comune grosso di sedicimil'abitanti. Il governatore assalito
al mattino, perduta una bandiera, prigionieri e morti, fugge a Manfredonia.
Quivi ha due cannoni, raccoglie faziosi e Garibaldini, e fatti 1500 uomini,
ottenuto dal dittatore poteri illimitati, sparge il 26 una proclamazione,
minacciante a preti e reazionarii galere, taglie, ferro, fuoco e
fucilazioni. Il dì stesso a vendetta move a S. Giovanni, per la via di
Rignano, ove avea fautori; ma visto da S. Marco, questa popolazione
tumultuando picchia ogni porta, tutta notte aduna arme e munizioni, e assale
i Garibaldini, che dormito a Rignano andavano a S. Giovanni. Questi
trovatisi in mezzo tra le due popolazioni uscite a percuoterli, dopo due ore
di zuffa si ritraggono a Rignano. Ne'seguenti dì avvisaglie lievi.
Il Del Giudice, fallita la forza, cercò con arte acchettare S. Marco, terra
grossa. S' interposero i preti; si considerò già i Sardi nel cuor del regno
indifeso e inerme, venir forze da tutte parti; e si venne a composizione,
per la quale i Garibaldini entrarono in S. Marco chetamente. Il comandante,
certo Romano, per dire d'aver fatto votare il popolo, pretese ciascuno
mettesse il SI al cappello; e a'contadini si disse il si significare la
pace. Si contentò di tal finzione. Dappoi imposero la tassa di guerra in
seimila ducali; cioé 5000 a'galantuomini, e 5000 al clero. Il Del Giudice
poté negli altri comuni vendicarsi meglio: seguirono cacce d'uomini,
uccisioni, rapine, e ogni abbominio. Fucilò dieci a S. Giovanni; molti
condannò a'ferri, moltissimi a carceri; e posevi taglia di diecimila ducati
anche per metà su' preti. Taglia di quattromila a Cagnano. In quella
tumultuava Roseto, pur con sangue e fucilazioni represso. Lo stesso ad
Ascoli, e fuvvi morto il capitano Nazionale. Ma la reazione salì a'monti; e
il Gargano lungo tempo fu di rea guerra teatro infelice.
(Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861,
vol.II, Trieste, 1868)."
Vero è che latteggiamento assunto da Gaetano Del Giudice compromise il già
difficile rapporto con Alfonso La Marmora, anche perché Del Giudice non
disponeva di uomini capaci di aiutarlo a risistemare le sorti della
Capitanata, ed in più cera la sopraffazione del potere che spingeva Del
Giudice ad assumere discutibili atteggiamenti ritenuti drastici nei
confronti dei colpevoli. Per questo fu accusato di aver commesso atti che
avevano seriamente compromesso la sua moralità e la sua integrità di
funzionario. Il duca di Bovino ed il Ricevitore generale di Capitanata,
contestarono la nomina a prefetto di Gaetano del Giudice che, a loro avviso,
si era rivelata un gravissimo errore, adducendo una serie di motivazioni e
considerazioni ritenute politicamente valide.
Coppola Vincenzo (1822-1889)
Fu medico e uomo politico di principi cottolici-liberali. Scrisse:
Sull'agopuntura (1854), Memorie contenenti quesiti sull'iritide
(1855). Pubblicò anche carmi latini, e Lettera di un cattolico a G.
Mazzini (1865), Sull'inondazione di Piedimonte (1858). Bel lavoro
di credente e di stilista fu la traduzione in italiano di "La Bibbia
dell'infanzia" di Martin de Noirlieu (1845).
de
Amicis Ovidio (XVI-XVII secolo)
Nativo di
Piedimonte
d'AIife, fiorì tra il XVI e il secolo seguente. Si
destinò allo stato ecclesiastico, e giunse ad essere Canonico della Chiesa
metropolitana di Capua, ed anche Protonotario apostolico. Passato a Roma, si
pose al servizio della casa Gaetani d'Aragona. Quindi essendo stato dal
Pontefice Paolo V, nel 1605, creato Arcivescovo di Capua Antonio
Gaetani, e successivamente Cardinale da Gregorio XV, si vuole ch'egli dallo
stesso Pontefice, e per mezzo del cardinale Gaetani, avesse fatto ottenere
ai Canonici di Capua l'insegna adinstar Divi Petri di Roma. Egli
però si trattenne in Roma, anche quando si diede il governo della Chiesa di
Capua a Luigi Gaetani arcivescovo di Antiochia nel 1614. Le sue opere
pubblicate in Roma gli fecero acquistare molta fama, anche presso altre
nazioni, tantè che i Piemontesi Subalpini lo reclamavano come loro
conterraneo. Ma ricorsero in errore se solo avessero letto del privilegio
concessogli da papa Gregorio XV per una sua opera pubblicata ove avrebbero
potuto ben leggere: Clericus Pedemontanus Aliphanae Dioecesis. Gli
storici e i biografi ne parlano con qualche giunta di lode, come il
Ciarlante, Nicolò Toppi, Giangiuseppe Origlia, e anche l'Allacci scrive:
Laudatur a Rota, et aliis recentioribus. Sanctorius item Archiep.
Urbinas in suis annal. inter primarios J. C. recenset.
I titoli delle sue opere maggiori sono: 1)
De
jure emphyteutico repetitio ex cap. potuit emphyteuta
de
tocat et conduct cum centum disceptationibus
frequentissimis. Romae apud Facciottum 1622. In f..-
2).
De primatu
Ecclesiae tam in spiritualibus,
quam in temporalibus discursus duo ad Urbanum VIII. P.M.Romae
1633.
Tartaglia
Nunzio (sec. XVI)
Di Piedimonte, fiorì nel XVI secolo e diede alle stampe un manuale di
pratica criminale di cui si tenne gran conto da parte degli altri professori
del Foro: Margaritarum fisci practica criminalis, in qua quomodo in
criminalibus judiciis criminaliter intentatis sit procedendum, et quae poena
de jure civili, canonico, et Regni hujus veniat irroganda, novo ordine per
practatur. Neap.1556 in 4. Ne furono fatte diverse edizioni, con
aggiunte, da parte di altri dottori modificandone il titolo in modo da farla
passare come opera propria.
Le altre edizioni del Tartaglia sono: Neap. apud Horatium Salvianum 1586
in 4 cum additionibus D. Caroli Grimaldi JC. 1590-1600-1610, ex typ.
Tarquinii Longi 1619. sempre in 4, nelle quali si ravvisano le
addizioni anche di Giulio Cesare Como, di Francesco Ristaldi, di Ascanio
Tolomeo, di Fabio di Paolo, di Tommaso Alfani, di Orazio Marchese, e di
Pietro di Morante. L'autore ne fece dedica a Vincenzo de Franchis. Scrisse
inoltre Commentaria super pragmatica fin.de compositionibus, Neap. 1582.
Ne parlano con lode il Ciarlante, il Chioccarelli, Niccolò Toppi e
Baldassarre Benedella, famoso giureconsulto, che per la sua Pratica
criminale gli fece una dedica.
Ciccarelli Lorenzo (sec. XVIII)
Lorenzo Ciccarelli di Piedimonte d'Alife
lasciò la professione del foro per impegnarsi non poco nel campo
dell'editoria, in particolar modo per le edizioni di autori toscani, che
all'epoca erano in gran pregio presso gli uomini di lettere.
Il luogo della sua patria si conosce attraverso una dedica che l'editore
rivolge a D. Aurora, nata
Principessa di Sanseverino, lodando la Principessa di avere
accresciuto di monasteri e templi Piedimonte
d'Alife mia patria, terra la più doviziosa non pur del vostro ampissimo
stato, ma di questo regno tutto.
Egli si associò con Già Massimo Porcelli uno dei più rinomati negozianti di
libri della piazza napoletana, ed estesero il commercio colle nazioni
estere, per cui in Napoli si introdussero le opere degli Oltramontani. Essi
dunque, insieme, progettarono di riprodurre le migliori opere di classici
scrittori Italiani, e farle comparire nella repubblica delle lettere non
solo bene impresse, ma anche esattamente corrette. La loro impresa riuscì
con molto decoro della nazione, poiché furono grandemente applaudite tutte
le loro ristampe, presso gli uomini di gusto tanto nazionali, che esteri. Il
Ciccarelli si mascherò per lo più sotto nome di Cellenio Zacclori,
come apparve specialmente dalla dedica ch'egli fece della commedia di
Dante all'avvocato napoletano Tommaso Farina, e dall'altra delle lezioni
intorno alla natura delle Mofete di Lionardo di Capoa ad Aurora Sanseverino.
Morì non molto agiato di beni di fortuna a dispetto del gran guadagno, che
pure aveva ottenuto dalle sue fatiche.
Cuomo Maria
(detta Nancy)
Nasce a Piedimonte Matese il 09/05/1949. Cresciuta musicalmente a Napoli
dove incide per la KappaO entra giovanissima nel mondo della musica leggera
grazie ad un complesso di amici piedimontesi (I Paladini) con il
quale si esibisce a feste paesane. A metà degli anni sessanta si trasferisce
a Roma e ottiene un ingaggio presso il famoso locale "Kilt". Viene scoperta
da Nico Fidenco che la presenta ai suoi discografici.
Nel 1966 viene scelta per interpretare la colonna sonora del film "Kiss kiss
bang bang" di Duccio Tessari con Giuliano Gemma. Il titolo del brano è "Love
love bang bang" composto da Pino Cassia e Bruno Nicolai. Il singolo la mette
subito in luce nel mondo delle sette note. Nel 1968 prende parte al
Cantagiro interpretando il brano "Ieri" che raggiunge la finale. La canzone
ha subito successo e viene ripetutamente trasmessa in radio ed in tv. Nello
stesso anno partecipa alla trasmissione "Settevoci" condotta da Pippo Baudo,
dove risulta campionessa per varie puntate. Nel 1969 firma un contratto con
la Mercury ed incide la nota canzone "Concerto d'autunno" del maestro
Bargoni. Viene premiata con la "Caravella d'oro" nella manifestazione "Nuovo
Lido di Genova". Nello stesso anno incide "Avangers" scritta da Gianni
Ferrio, Pino Cassia e Federico Monti Arduini, che diventa colonna sonora
dello sceneggiato televisivo di successo internazionale "Agente speciale" in
onda sulla Rai. Vince il Festival di Melfi.
Nel 1974 pubblica l'album "Viaggio nell'amore" curato da Manuel De Sica e da
Sandro Blonksteiner. Dall'album è tratto il singolo "Viaggio con te"
composto dallo stesso de Sica che sarà colonna sonora del film "Il viaggio"
di Vittorio De Sica con Sofia Loren e Richard Burton.
Nel 1975 a causa della prematura scomparsa del suo produttore Leopoldo
Buttaro, Nancy Cuomo resta lontano dal mondo discografico e dai programmi
radiotelevisivi per alcuni anni. In tale periodo di assenza è protagonista
di un lungo tour all'estero dove ha modo di esibirsi nei teatri, nelle tv e
radio di vari paesi tra i quali Jugoslavia,Spagna,Francia ,Germania e Stati
Uniti
1978 : Vince il trofeo Remigio Paone.L'evento viene trasmesso dalla Rai
nella trasmissione "Incontri internazionali dello spettacolo"
1979 : Torna sul mercato con il singolo "Prendimi" composto da Michele
Armetta per la Mia records.Il singolo viene presentato a "Domenica In"
condotta da Corrado.Il suo ritorno viene ampiamento promosso dagli organi di
stampa.Nello stesso anno è testimonial della campagna pubblicitaria
dell'azienda "Bevande Sasso"
1980 : Firma un contratto con la Hilton records con la quale incide il
singolo "Prendimi,tienimi" che reca nel retro il brano "Io e te,tu e lei"
ambedue composte da B.Lanza
1994 : Dopo una lunga assenza dagli schermi e dal mercato viene invitata
dagli autori della trasmissione "Magazine 3" in onda su Rai tre,una vetrina
televisiva sugli artisti del passato
1996 : Nancy però non si sente un'artista del passato e crea l'etichetta
discografica "Nancy Cuomo Music",con l'obiettivo di autoprodursi,cercando di
rimuovere lo stato di oblio e con la volontà di promuovere giovani di
talento.La sua prima produzione è costituita dall'album "E nisciuno vo'
sentì".Il brano che dà il titolo all'album parla dello sfogo di un ragazzo
napoletano stanco delle ingiustizie e delle promesse mancate dalla
società.Le emittentiradiofoniche private partenopee trasmettono a
ripetizione il brano che diventa subito un hit.Dello stesso album segnaliamo
"Senza meta" composto da Gerry Mottola,"icaro" composto da A.Nasca e "Vita e
musica" sempre dello stesso Mottola.Nell'aprile dello stesso anno partecipa
alla trasmisisone televisiva di Rai due "Fuori dai denti" dove si esibisce
con Memo Remigi e Franco Oppini interpretando "Aggiungi un posto a tavola"
1997 : Con la sua etichetta ha però notevoli difficoltà di promuovere le sue
produzioni rivolte a giovani di talento come Loretta Moriconi e l'orchestra
jazz Red Pellini swingi'n the twenties nie circuiti radiotelevisivi
nazionali.Nel dicembre prende parte alla trasmissione radiofonica di radio
due "Stasera a Via Asiago 10" in occasione di Telethon dove presenta il
brano "Mio figlio"
1998 : Pubblica il cd singolo "Parlami ancora " che contiene tre brani
composti da Gerry Mottola.Del cd segnaliamo il brano "Bella Notte"
1999 : Produce l'album dei Tutania dal titolo "Come un bambino".Le
difficoltà ad avere opportunità di promozione radiotelevisiva hanno
procurato negli anni un inevitabile calo di popolarità.Nonostante questo
l'artista continua ada amre il suo lavoro e crede di "avere ancora qualcosa
da dire".Decide dunque di concentrare la sua attività nella promozione di
spettacoli dal vivo
2000 : E' ideatrice e protagonista,con l'attore Mario Donatone dello
spettacolo "canti del cielo",realizzato in occasione del Grande Giubileo.L'evento
è stato patrocinato dalla Provincia di Roma e ha trovato l'accoglienza
favorevole da parte di Sua Eminenza Monsignor Rino Fisichella,allora Vescovo
ausiliare di Roma ed attuale rettore della Pontificia Università
Lateranense
2007 : Presenta lo spettacolo "L'eco di Roma.Un canto semplice semplice" che
è un omaggio alla sua città adottiva.Lo spettacolo musical-teatrale è
composto da canzoni e poesie romane,scritti ed aneddoti antichi che
abbracciano l'universo della romanità,vestendolo di un nuovo abito senza
alterarne il fascino e l'importanza della tradizione
2009 : Ritorno discografico per l'artista che incide l'album "aria di Roma"
dove rilegge alcune tra le più belle pagine della canzone tradizionale
romana.Inoltre porta in teatro lo spettacolo omonimo dove oltre la musica è
presente anche tanta poesia
Ha ottenuto anche un grosso seguito in Polonia,Inghilterra dove ha inciso
col nome d'arte di Mary featt Attualmente prosegue la sua attività di
ricerca di nuove espressioni artistiche.
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