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Uomini illustri  (in parte estratto da  Piedimonte Matese di Dante B. Marroco, Edizioni A.S.M.V., 1980)

Carullo Giovanni Antonio (bancario), Caruso Enrico (tenore), Caso Beniamino (patriota-naturalista), Caso Giovanni (medico), Ciccarelli Lorenzo (editore),  Coppola Vincenzo (medico-politico), Conte Francesco (magistrato), Cuomo Maria detta Nancy (cantante), d'Agnese Ercole (rivoluzionario),  D'Amore Giovan Giuseppe (medico), de Amicis Ovidio (prelato), De Benedictis Domenico (pittore), de Forma Giovanni (magistrato), de Franchis Iacobuccio (giurista), de Franchis Vincenzo (giurista), Del Giudice Gaetano (politico), di Piedemonte Antonio (militare), Egg Matilde (scrittrice), Gaetani Antonio (cardinale) Gaetani Luigi (militare), Gaetani Luigi (cardinale), Gaetani D'Aragona Giuseppe (patriarca),  Gaetani d'Aragona Guido (medico), Gaetani d'Aragona Livio (ecologo), Gaetani d'Aragona Luigi (diplomatico), Gaetani d'Aragona Massimo (diplomatico), Genovesi Marcantonio (vescovo), Gregorio Pietrangelo (inventore), Malatesta Michele (filosofo),  Manzo Antonio (filosofo),   Marasco Antonio (politico), Marrocco Dante Bruno (storico locale), Masella Angelo (ingegnere), Mattera Gino (attore-lirico), Paterno Ludovico (poeta), Pepe Luigi (matematico), Petella Giovanni (medico-militare), Petella Giuseppe (militare), Sanseverino Gaetani Aurora (scrittrice), Scorciarini Angelo junior (oculista), Scorciari Angelo senior (medico), Tartaglia Nunzio (giurista), Trutta Gian Francesco (studioso locale), Varale Vittorio (giornalista), Visco Francesco (pediatra).

 I primi cittadini
 Le famiglie piedimontesi
 La famiglia Gaetani
 

Genovesi Marcantonio (1552-1624)
Secondo il
Giustiniani nacque a Napoli il 26 maggio 1552 (secondo D.B. Marrocco fu battezzato in Santa Maria Maggiore di Piedimonte d'Alife). Destinato alla carriera religiosa dal padre Roberto, originario di Piedimonte d'Alife, il G., dopo essersi laureato in utroque iure, divenne nel 1595 canonico e avvocato fiscale dell'arcivescovato di Napoli, distinguendosi per l'acume e l'abilità con cui seppe difendere le prerogative ecclesiastiche nei confronti del potere statale, proprio alla vigilia della prima grande offensiva anticurialista che nel Regno si scatenò nel primo ventennio del XVII secolo.
La sua pratica forense si riverberò in una ponderosa opera teorica, Praxis archiepiscopalis curiae Neapolitanae in qua quicquid in aliis etiam curiis archiepiscopalibus et episcopalibus frequentius occurrere solet…, Napoli 1602. In quest'opera, dedicata al pontefice Clemente VIII, il G. cercava di fornire una sorta di prontuario di giurisprudenza pratica, per consentire al clero di far fronte alle contestazioni del potere civile.
A poche settimane di distanza dalla comparsa del volume, il Consiglio collaterale ordinario, responsabile della censura editoriale nel Regno, condannava l'autore, riconoscendolo "sospetto della fede regia, sedizioso e perturbatore della giurisdizione regia e pace dei popoli". In virtù di quel provvedimento, il commercio dell'opera fu proibito in tutto il territorio del Regno e le copie furono sequestrate.
Il G., temendo la persecuzione, uscì clandestinamente da Napoli e trovò rifugio a Roma, dove seppe far valere molto bene i suoi meriti, riuscendo a ottenere da Clemente VIII il vescovato di Montemarano, presso Benevento.
Ma al momento di ottenere il regio exequatur, che solo avrebbe potuto dare validità alla nomina, il Consiglio collaterale rifiutò di dare sanzione alla designazione pontificia. Lo stesso G., velatamente, si opponeva alla concessione dell'exequatur, brigando presso gli ambienti curiali e persino presso quelli della corte vicereale. Se il Consiglio collaterale avesse infatti insistito nell'opporre un rifiuto alla nomina del G., questi avrebbe potuto domandare al pontefice un maggiore e più ricco vescovato fuori del Regno, essendo quello di Montemarano assai povero e di pochissima rendita. Accortosi di questi maneggi, il Consiglio collaterale decise di dar seguito, senz'altro indugio, alla nomina papale, trasformando il suo assenso in una sorta di punizione, che avrebbe privato il nuovo vescovo di maggiori e più estesi benefici. Il 10 maggio 1603 il G. poté quindi insediarsi ufficialmente a Montemarano, non senza aver ricevuto, insieme con l'autorizzazione regia, un dispaccio governativo che gli intimava con durezza di "essere avvertito per il futuro sopra la persona sua e alle azioni che avesse fatto", se non avesse voluto incorrere nei rigori della legge.
Per nulla intimorito da questo avvertimento, il G. non dismise i suoi panni di deciso difensore dei privilegi della Chiesa, aggiungendo al suo Praxis curiae nuove e più radicali appendici e ristampando più volte il volume. Nuove edizioni dell'opera vedranno la luce a Roma nel 1609, 1620 e 1622, a Napoli nel 1613, 1616 e 1630, a Lione nel 1622 e, dopo la morte del G., a Venezia nel 1645 e 1667.
Durante il periodo passato a Montemarano, il G. alternò le cure per la diocesi all'elaborazione di altre opere. Nel 1606 fu stampato a Rimini il volumetto Alcuni pii e brevi ricordi scelti dalla S. Scrittura per i figlioli de' principi; nello stesso anno usciva a Roma il Manuale pastorum sacrorum canonum auctoritatibus Patrum sententiis et sanctorum episcoporum exemplis refertum, dedicato a Paolo V, dal quale fu poi protetto.
Il G. fu quindi nominato vescovo di Isernia con breve papale del 26 sett. 1611.
La permanenza nella nuova sede non interruppe la sua attività letteraria. Nel 1620, il G. stampava a Roma il Tractatus de Ecclesia, sive practicabilia ecclesiastica. A pochi anni di distanza, nel 1624, vedeva la luce a Napoli un piccolo trattato politico, Navicula Petri, dedicato a Urbano VIII. Nell'opera il G. tentava di delineare una sorta di accordo sociale, che avrebbe dovuto legare le classi diseredate ai potenti al fine di rendere le prime disponibili a rispettare il dovere dell'obbedienza nei confronti dei superiori e i secondi a operare caritatevolmente per alleviare le condizioni di vita dei più bisognosi.
Il G. morì nella sua diocesi di Isernia, il 7 nov. 1624, lasciando incompiuto un altro volume, anch'esso dedicato al dovere cristiano della carità verso gli indigenti, intitolato L'avvocato de' poveri, figura, questa, alla quale era stato dato notevole rilievo anche nella riforma dei tribunali emanata da Paolo V nel 1612. (Fonte: Eugenio Di Rienzo,
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53, 2000)

Marasco Antonio
Sul Monte Cila (677 m slm), il primo maggio del 1934, in pieno Regime fascista, osò sfidare la dittatura, inalberandovi la bandiera rossa.
Farla sventolare dall’alto di quel monte costituì un segnale, un forte messaggio di sfida che uomini coraggiosi, ”sovversivi” di tale zona mandarono al Regime in un momento in cui godeva di un forte consenso in Terra di Lavoro.
Nei primi anni della presa del potere da parte del Fascismo, vi erano stati a Piedimonte scontri tra fascisti e comunisti, di cui il più violento fu certo quello del 5 gennaio 1925. In quell’occasione fu seriamente ferito alla testa il calzolaio comunista Alfonso Santomassimo, morto proprio qualche anno dopo in seguito a tale aggressione. In quel frangente vi furono arresti, e tra gli arrestati, figurava il nome di Antonio Marasco.
Quando il fascismo divenne Regime e operò la ”normalizzazione” diventò difficile opporsi, ma uomini coraggiosi riuscirono ad affiancare Antonio Marasco nell'inalberare il primo maggio 1934, sul Monte Cila, la bandiera rossa: episodio considerato in quel tempo decisamente clamoroso.
Di Antonio Marasco furono reperibili notizie solo nel dopoguerra, allorché si organizzarono i primi movimenti contadini e la sezione comunista di Piedimonte Matese divenne punto di riferimento importante per le classi subalterne. Ciò si deve alla ricerca costante e attiva di Giuseppe Capobianco, che ha rinvenute informazioni nelle raccolte documentarie dell’archivio di Caserta e ci consente di illuminarci sulla figura storica dell’antifascismo del Matese.
Antonio Marasco fu il fondatore nel 1919 della Camera del Lavoro di Piedimonte Matese insieme agli operai elettrici della centrale, ove lavorò fino al pensionamento.
Giuseppe Capobianco scrive che la ” biografia di Antonio Marasco non è un’opera facile .
La Camera del Lavoro di Piedimonte Matese diede impulso alla sezione massimalista del Partito Socialista Italiano che aderì con la forza dei suoi 200 iscritti al Partito Comunista d’Italia, dopo la scissione di Livorno. Negli anni del Fascismo Antonio Marasco fu presidente del Comitato di Liberazione Nazionale di Piedimonte, mentre si andava gradualmente organizzando il Movimento Operaio di Terra di Lavoro.
Inoltre la struttura clandestina di Piedimonte Matese riuscì a essere punto di riferimento per tanti ” sovversivi”, che altrove, ” licenziati e perseguitati”, giungevano al paese del Matese. Giuseppe Capobianco scrive che la ” biografia di Antonio Marasco non è un’opera facile. Le fonti archivistiche hanno consentito di reperire materiale insufficiente”.
Il figlio di Giuseppe Capobianco, Franco scrive, in relazione alla volontà di ricostruire la provincia di Caserta, dopo la soppressione di Terra di Lavoro, decisa da Mussolini nel 1927 che “decisivo fu il ruolo svolto dal CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Piedimonte Matese e forte fu la determinazione dei Sindaci dei comuni dell’Alifano nel difendere il territorio per ritornare ad essere compresi nella ricostituenda provincia di Caserta”.
Ciò che evidenzia Giuseppe Capobianco è in particolar modo la bellezza della realtà della sezione comunista piedimontese degli anni cinquanta ove “ognuno, indipendentemente dalle sue idee politiche, si recava per un consiglio, per denunciare un sopruso, per rivendicare un diritto.”
“In quell’attività – commenta Capobianco – non c’era ombra di paternalismo, ma il riconoscimento di un’autorità alternativa a quella predominante, un’autorità conquistata sul campo, con testarda coerenza.”
Ed è per questo che nel territorio di Piedimonte la sinistra poté competere in quegli anni con la Democrazia Cristiana e con le Destre, per la coerenza “testarda” degli uomini che esprimeva, uomini credibili che la gente seguiva, se si rapportano i risultati ottenuti a quelli delle altre realtà del Casertano ove le sinistre erano decisamente e prevalentemente minoritarie.
Candidato per l'Assemblea Costituente del 02/06/1946 per la Circoscrizione NAPOLI-CASERTA, nella lista di Giorgio Amendola, ottenne 1.537 preferenze.
In tale contesto Giuseppe Capobianco con orgoglio sottolinea il risultato delle elezioni amministrative del 1956, con la sinistra che a Piedimonte ottenne un 39,2% di consensi, riuscendo a competere quasi alla pari con la Democrazia Cristiana che raggiunse il 42.6%, mentre le Destre il 18,2%.
Tale successo fu dovuto preminentemente ad Antonio Marasco, alla sua credibilità e alla sua coerenza nel guidare il Partito Comunista Italiano nel territorio di Piedimonte, uomo a cui anche gli avversari riconoscevano le sue idealità rapportandosi con lui con gran rispetto e stima.
A conferma di ciò, quando morì, poco tempo dopo le elezioni, il 15 luglio 1956, all’età di 62 anni, anche la Chiesa locale non fece alcuna minima opposizione ai funerali religiosi, data la volontà dei familiari di “portarlo in Chiesa”.
Allora vi fu l’accordo per un funerale misto, un funerale organizzato dal Partito e uno dalla Chiesa per ricordare l’uomo che aveva inalberato la bandiera rossa sul Monte Cila il primo maggio 1934.

Gaetani Luigi (1777-1856)
Iniziò la carriera durante la guerra contro i Francesi invasori dello Stato Pontificio nel 1798. Nel 1831 divenne Maresciallo di Campo e Aiutante Generale del Re Ferdinando II, e il 23 novembre 1832 fu decorato del Gran Cordone. Riorganizzò i quadri degli ufficiali e richiamò i destituiti del 1820. A Torino trattò il matrimonio del sovrano con Maria Cristina di Savoia. Lasciò inedita la Biografia storica del conte Luigi Gaetani dell'Aquila d'Aragona, breve ma densa di notizie. Sotto la restaurata bandiera bianca dai gigli d'oro raggiunse il grado di Maresciallo di Campo. Morì a Portici (NA) nel 1856.

Gaetani Antonio (1363-1416)
Proveniente dalla nobile famiglia dei Conti di Fondi, che aveva dato alla Chiesa anche un papa, Antonio intraprese fin da adolescente la carriera ecclesiastica. Eletto Patriarca di Aquileia nel 1395, secondo D. Marrocco senza mai visitare la Patria del Friuli, rassegnò le proprie dimissioni in Roma nel 1402. Di diverso avviso è lo storico Pio Paschesi, che nelle "Memorie storiche forogiuliesi" (Udine, 1933), riferisce di un successivo arrivo del patriarca nella sede friuliana. Infatti, "Bonifacio IX con bolla del 27 gennaio 1395, nominò patriarca Antonio Caetani, figlio di Giacomo II Caetani e di Sveva Sanseverino, della famiglia di Bonifacio VIII. Questi era allora nel fiore dell'età, sebbene fosse malfermo di salute, referendario e protonotario apostolico, arcidiacono di Bologna, priore di S. Giacomo sopr'Arno a Firenze, in ottimi rapporti colla Signoria di questa città e col re Ladislao di Napoli" - "ll Caetani verso la fine di febbraio inviò a Venezia ed anche a Padova come suoi ambasciatori maestro Bernardo degli Angelieri di Firenze maestro in teologia ed Angelo de Baglioni di Perugia, dottore in decreti, a presentare i suoi complimenti. Poi nel marzo inviò suo fratello Cristoforo, ch'era uomo d'arme, come marchese in Istria, dove sapeva che c'erano disordini. Cristoforo precedette di poco suo fratello, giacchè sappiamo che verso la metà d'aprile il nuovo patriarca si trovava a Venezia, dove prese a prestito dalla Signoria tremila ducati d'oro, che evidentemente dovevano servirgli per le spese che stava per sostenere nell'entrare nel patriarcato. Senza toccare Padova il patriarca si diresse subito ad Aquileia, dove il 19 aprile, alla presenza dei due vescovi Martino di Ceneda e Giberto di Cittanova, del capitolo d'Aquileia, del decano di Cividale, di Michele di Rabatta, sino allora vicedomino, di alcuni nobili friulani, i rappresentanti delle quattro famiglie ministeriali maggiori: Valvasone e Zucco, Spilimbergo, Arcano e Moruzzo, Prampero, secondo il costume, fecero sedere il patriarca sulla sua sede in fondo all'abside della basilica e gli conferirono con ciò il possesso del principato patriarcale; ed il patriarca, molto probabilmente, prestò il giuramento di osservare le consuetudini e di mantenere le giurisdizioni della Chiesa d'Aquileia e della Patria del Friuli. Poi il mercoledì 21 aprile il patriarca presiedette il parlamento generale della Patria, ricevette i complimenti ed i doni che gli presentarono i signori e le comunità del Friuli. Il 22 aprile egli entrò in Udine e poi il 15 maggio a Cividale."
Al suo seguito troviamo anche un Tommaso di Piedimonte, che poi è qualificato come cappellano, cameriere e famigliare e che il 17 ottobre 1397 ebbe la pieve di S. Giorgio di Latisana (Registrum, cc. CIII v., CXXVI).
Lo stesso Paschesi riferisce di una venuta del Caetani a Piedimonte per visitare i suoi genitori in occasione di una sua discesa a Napoli.
Bonifacio IX lo elevò alla dignità cardinalizia nel concistoro del 27 febbraio 1402. Fu prima cardinale presbitero di Santa Cecilia, quindi il 12 giugno 1405 divenne cardinale vescovo di Palestrina.
Nel 1405 fu nominato grande penitenziere e arciprete della basilica del Laterano; partecipò al concilio di Pisa nel marzo del 1409 e per tale ragione fu deposto da papa Gregorio XII. Partecipò al conclave del 1409 che elesse l'antipapa Alessandro V. Il nuovo antipapa lo nominò vescovo di Porto e Santa Rufina e amministratore della diocesi di Fiesole. Non partecipò al conclave del 1410 che elesse l'antipapa Giovanni XXIII.
Morì a Roma nel 1416 e fu sepolto nella cappella di papa Bonifacio VIII, nella basilica di San Pietro in Vaticano; più avanti venne traslato nella basilica di Santa Maria sopra Minerva e sepolto alla sinistra dell'altar maggiore, come ringraziamento per la ristrutturazione della basilica stessa.
Fra le opere degne di nota che compì in quanto patriarca di Aquileia si ricordano il debellamento dei briganti nel Carso e la riorganizzazione dell'archivio e della cancelleria patriarcale.

Gaetani Luigi (1595-1642)
Nato a Piedimonte da madre piedimontese, Camilla Gaetani d'Aragona, mentre il padre, Filippo era del ramo romano, di Sermoneta
(ma il Cardella nel 1793 ed il Renazzi nella sua Storia dell'Università degli Studj di Roma, detta La Sapienza... - vol.III - Roma, 1805 - lo portano nato a Roma). A Piedimonte indossò l'abito talare. Studiò a Ravenna. Nel 1622 ebbe il titolo di patriarca di Antiochia dei Latini. Nel 1624 fu arcivescovo di Capua e nel '26 fu nominato cardinale e consultato in molte congregazioni. Durante il Giubileo del 1625 accolse e alimentò a spese proprie fino a 1000 pellegrini.
M. Monaco nel Sanctuarium capuanum ne loda la pietà, l'assiduità al coro, la carità con cui ospitò e rifocillò durante il giubileo del 1625 tutti i pellegrini che passarono per Capua. Morì a Roma l'8 agosto 1642 ed ebbe sepoltura nell'insigne Cappella gentilizia della sua famiglia nella chiesa di S. Pudenziana.

Gaetani d'Aragona Luigi (1863-1917)
Fu deputato di Sora (1894), e poi di Piedimonte per tre legislature, fino al 1906. Datosi alla carriera diplomatica, fu console generale a Trebisonda, Filippopoli e Ginevra, finché fu nominato ministro plenipotenziario a Bogotà in Colombia, ma a causa di malattia non poté raggiungere la sede. Nel 1890 fu a Berlino, inviato da Crispi in missione straordinaria, e al ritorno scrisse Per la Triplice lavoro diretto ad illustrare i vantaggi del famoso patto.Fu decorato di alte onoreficenze italiane, greche, bulgare e turche.

Gaetani d'Aragona Massimo (1902-1948)
Di padre piedimontese, ebbe per maestri P. Silva per la storia e Giacinto Bosco per il diritto internazionale, e fu il primo al concorso in diplomazia. Console di Elisabethville (ex Congo belga) fu convinto assertore della collaborazione fra i popoli europei e africani. Durante la guerra etiopica volle raggiungere il nostro esercito attraverso l'Uganda e il Caffà, ma il Governo lo inviò in America latina a fronteggiare la propaganda antitaliana. E ci riuscì subito nell'Equador, dov'era incaricato di affari, che fu il primo paese ad abolire le sanzioni. Durante la guerra di Spagna fu console a Siviglia, e divenne popolare fra i soldati. Fu ferito alla presa di Bilbao, e partecipò anche alla guerra di Barcellona. Dopo l'armistizio con la Grecia fu inviato ad Atene in missione delicata e difficile. Nel 1947 era consigliere dell'Ambasciata italiana in Norvegia, ove morì nello stesso anno.

de Forma Giovanni (1300-1400 ?)
Fra il '300 ed il '400 visse questo nobile cavaliere nato nel suo palazzo a Piazzetta. Il De Lellis, parlando di Guarino (già padrone di Trevico) e Riccardo de Forma, dice che da Nusco, loro patria, "sieno andati ad abitare a Piedimonte d'Alife, donde passarono in Napoli ad occupare posti eminenti". Giovanni percorse la carriera di magistrato raggiungendo nel 1412 il grado di Vice protonotaro del Regno (e cioè Sottosegretario alla Giustizia e all'Istruzione). Nel 1452 fu promosso presidente della R. Camera della Sommaria, che era la Corte dei conti del Reame, e nel '58 fu anche Governatore di Sulmona. (
approfondimento)

de Franchis Iacobuccio (?-1517)
Zio di Vincenzo de Franchis, fu celebre giurista e professore di diritto feudale all'Università Reale di Napoli. Nel 1505 era membro del S. Real Consiglio. E' autore di Pratiche legali e dei Preludia, stampati dal nipote. Fu anche personalità politica, e papa Leone X se ne servì in delicate ambascerie straordinarie presso Carlo V.
F
u sepolto in S. Domenico Maggiore di Napoli nella Cappella dei Signori de Franchis. (approfondimento)

de Franchis Vincenzo (1531-1601)
Le radici della famiglia sono a Capua, dalla quale furono esiliati nel 1066 per farvi poi ritorno sotto Giordano II. Da qui la famiglia si ramificò in varie città tra le quali Piedimonte d'Alife. La Famiglia ebbe il privilegio firmato da re Carlo II d'Angiò e confermato da re Ferrante I d'Aragona nel 1458 col quale si decretava che quando il Re, dopo l'incoronazione, entrasse per la prima volta in Capua, un cavaliere di Casa de Franchis insieme alla moglie avrebbero dovuto reggere le briglie del cavallo sino a quando il sovrano non sarebbe smontato. Al cavaliere spettava in dono il cavallo e alla moglie l'anello che il Re portava al dito. Poco dopo tale avvenimento, nel 1508, Giovanni si trasferì a Piedimonte con la nobile famiglia capuana formata da Giulio de Franchis e sua moglie Sveva. Tra gli altri di famiglia vi era anche il figlio Adriano. Da Adriano e sua moglie Nella nacque, nel 1531, Vincenzo de Franchis. Vincenzo fece una splendida carriera nella magistratura. Ancora giovane fu inviato a Napoli per attendere allo studio delle leggi ed ebbe come maestro Tommaso Nauclerio. A Napoli professò per tredici anni l'avvocatura, che svolse con rara abilità e prontezza riuscendo a dettare differenti materie contemporaneamente senza mai incorrere in errore.
Rifiutò cause ingiuste, e spesso patrocinò cause riguardanti i poveri senza percepire alcun compenso. Grande importanza professionale rivestì l’incarico ricevuto dalla contessa di Alife, Cornelia Piccolomini; Vincenzo de Franchis, giovane trentenne, dottore in Diritto canonico e civile, fu nominato procuratore della conte ssa presso il viceré. Visse in una villa fuori le mura di Napoli, in S. Maria degli Angeli alle croci, dove spesso era solito ritirarsi per preparare le Decisiones.
Il passo dalle dottrine giudiziarie alla politica fu breve, sicché nel 1566 il re Filippo II lo elesse a Giudice di Vicaria e quindi, mano mano, lo fece prima Reggente nel Supremo Senato d'Italia, poi membro e e successivamente, nel 1590, Presidente del Supremo Consiglio d'Italia. Ed ancora nel 1591 Viceprotonotario del Regno, per cui, per tutto quello che riguardava la politica degli stati uniti alla Spagna (Napoli, Sicilia, Sardegna, Milano), Re Filippo II ascoltava lui. Lo creò duca di Torre Orsaia e cavaliere di Santiago de la Espada, e ne fece mettere il ritratto nel Tempio di San Lorenzo all'Escuriale. La sua opera fondamentale è Decisiones sacrii regi Consili neapolitani, ed è divisa in tre parti. L'opera dell'illustre piedimontese è una compiuta enciclopedia di diritto, fu ammirata da tutta l'Europa e di essa su fecero ben otto edizioni. Morì il 3 aprile 1601, all'età di settant'anni, dopo solenni funerali, il suo corpo fu seppellito nella Chiesa di San Domenico Maggiore, in Napoli.
Avventuroso, ebbe dalla moglie Antonia Celia di Napoli, quattordici figli, nove maschi e cinque femmine, senza vederne morire alcuno. Anzi i suoi figli maschi raggiunsero tutti alti incarichi civili ed ecclesiastici, mentre le femmine furono tutte ben maritate.(
approfondimento)

Petella Giuseppe (1861-1931)
Nato a Piedimonte d'Alife (CE) nel 1861, si arruola giovanissimo nell'Esercito e poi transita, con il grado di Tenente, nell'Arma dei Carabinieri.
Da giovane Ufficiale viene destinato alla Legione di Milano dove, assunto l’incarico di Aiutante Maggiore, si fa subito apprezzare per i servizi prestati in occasione dei difficili momenti della sommossa scoppiata nella primavera del 1898.
Promosso al grado di Capitano viene inviato, come Comandante di Compagnia, dapprima alla Legione Allievi di Roma e successivamente a Nuoro. Nella Provincia sarda si occupa della lotta e  repressione del brigantaggio portando a termine brillanti operazioni di servizio, prima tra tutte quella contro la Banda Serra–Sanna annientata nel 1899 con il sanguinoso conflitto a fuoco di Morgolias (n.d.r. - Morgogliai, nel
Supramonte orgolese), per la quale, con Determinazione Sovrana del 23 settembre 1899, viene decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare. Già alcuni mesi prima il Petella, alla fine di una paziente raccolta di informazioni, allo scopo di creare terra bruciata intorno alla banda Serra-Sanna, aveva preparato in gran segreto un'operazione chiamata da un cronista dell'epoca "la notte di San Bartolomeo": nella notte tra il 14 ed il 15 maggio 1899 decine di persone, latitanti e complici di ogni genere, vennero tirate giù dal letto e ammanettate.
In data 12 ottobre 1906, dopo essere accorso in aiuto della popolazione di Napoli colpita dal terremoto, partecipa alle operazioni di salvataggio dei superstiti del crollo del mercato Monteoliveto ottenendo, per la sua opera, la Medaglia di Bronzo al Valor Civile. Promosso al grado di Maggiore a scelta speciale, in base all’art. 25 della Legge sull’avanzamento, si distingue ancora per le operazioni umanitarie portando aiuti, oltre che ai napoletani, anche alle popolazioni calabro – sicule funestate dal terremoto del 28 dicembre 1908 ed agli abitanti di Ischia nel 1910, ove dirige le operazioni di soccorso di reparti dell’Esercito e della Marina inviati nell’isola per la grave alluvione.
All’inizio della Prima Guerra Mondiale viene destinato, con il grado di Tenente Colonnello e successivamente con quello di Colonnello, ottenuto per meriti di guerra, al Comando dei Carabinieri della III^ Armata. Il suo comportamento ed il suo operato durante l’intera Campagna gli valgono la nomina a Cavaliere dell’Ordine di Savoia, poi divenuto Ordine Militare d’Italia.
Al rientro dalla Campagna di Guerra viene destinato a Napoli come Comandante della Legione e vi  rimane dal 26 novembre 1919 al 21 febbraio 1920.
Lasciato il servizio attivo per i raggiunti limiti di età, ricopre importanti cariche pubbliche, ultima delle quali quella di Primo Potestà della città di Capua ove ebbe modo di farsi apprezzare e ricordare dalla popolazione per la sua solerzia, la sua avvedutezza ed il suo impegno per la risoluzione di importanti questioni locali. Ritiratosi da tutti gli impegni istituzionali muore a Napoli il 17 gennaio 1931.

Conte Francesco (1857-?)
Primo Presidente della Corte di Appello di Napoli, decorato con le Gran Croci dei SS. Maurizio e Lazzaro e della Corona d'Italia. Era venerato dai magistrati ed avvocati di Castecapuano, che gli offrirono reverenti una medaglia d'oro quando si ritirò. Eppure a quest'uomo eminente non si aprì il Senato del Regno. Scrisse specialmente di Diritto Civile.

Caso Beniamino (1824-1883)
Nacque nel piccolo paese di San Gregorio, nel 1824. Beniamino studia al Real Collegio di Maddaloni e, ancora giovanissimo, è attratto dalla vita politica. Liberale sincero, votato alla causa dell’unità nazionale, durante gli avvenimenti del 1848, quando fu formato il Parlamento napoletano, Beniamino Caso era studente di Medicina a Napoli, in stretto contatto con il suo compaesano Gaetano Del Giudice, deputato al Parlamento di Monteoliveto e, in quel momento, suo riferimento politico. Sicuramente visse in prima linea i tumulti del ‘48, partecipando ai comizi ed alle barricate.
Da Napoli Caso era il tramite tra i rappresentanti dell’area matesina in quel Parlamento e gli amici restati a Piedimonte, portando notizie sulle vicende che segnavano i lavori di quel consesso e giornali di opposizione al regno. E fu certamente al fianco di Silvio Spaventa e Gaetano Del Giudice, che proprio in quei giorni fondavano a Napoli il giornale Il Nazionale, in cui trovano spazio le idee del costituzionalismo liberale e della politica di unificazione nazionale.
Abbandonati gli studi di medicina, si dedicò completamente all’attività politica, divenendo Sindaco di San Gregorio fino al 1853 quando venne sospeso, forse per motivi politici. Ma negli anni successivi la carica fu del fratello Michele. Sono gli anni dell’attesa e della preparazione. Agesilao Milano attenta alla vita di re Ferdinando, Carlo Pisacane sbarca a Sapri, nell’ambiente napoletano sono attivi sia il Comitato dell’Ordine, che raccoglie la componente liberale più moderata che risale a Cavour, sia quello dell’Azione, di più accesa indole mazziniana.Beniamino Caso, che vivendo in un clima familiare che tutto richiama ai fratelli Zurlo, e di loro ha letto ed assimilato ideali ed insegnamenti, è l’anima del Sotto Comitato dell’Ordine e nella primavera del 1860 raccoglie attorno a sé un gruppo di liberali del comprensorio matesino. Il ruolo giocato dalla massoneria in questa formazione è significativo, in quanto alcuni membri del Comitato sono anche appartenenti alla seconda loggia massonica piedimontese, quella del 1848 denominata Figli del Matese.
Quando ormai le notizie dell’avvicinamento di Garibaldi, ed i segnali che giungono dalla corte napoletana lasciano intendere imminente il momento della caduta borbonica, Beniamino Caso mette su un vero battaglione di uomini, la Legione del Matese, in buona parte finanziata da lui personalmente, pronta all’azione. Della Legione fa parte, tra i tanti, anche il giovane pittore Gioacchino Toma, che un anno prima era stato confinato per motivi politici sul Matese, ed era stato protetto proprio da Caso, che ne aveva promosso la vendita di alcuni quadri. Nel settembre 1860 è membro del Governo Provvisorio del Distretto di Piedimonte ma, fatta l’unità d’Italia, resta fuori dai primi incarichi governativi. Il suo vecchio mentore, Gaetano Del Giudice, viene nominato Governatore di Capitanata ed il fratello di questi, Achille, diviene Maggiore della Guardia Nazionale per il Distretto di Piedimonte.
Nonostante ciò Beniamino Caso è benvoluto dal popolo “soprattutto nelle campagne, dove ottenne il soprannome di amico del popolo” ed alle elezioni per la Camera dei Deputati, la prima del Regno d’Italia, viene eletto contemporaneamente sia per il collegio di Caserta che per quello di Piedimonte. Decide di optare per il collegio di Caserta, ma questa sarà la sua condanna politica. Operò questa scelta per fare spazio all’amico Gaetano Del Giudice, risultato secondo eletto a Piedimonte. Del Giudice fu dunque nominato deputato, mantenendo quel seggio per le tre successive legislature fino al 1870, e lasciandolo poi al fratello Achille.
A Torino Caso è attivamente impegnato nei lavori parlamentari. Presenta una proposta di legge per sospendere la nascita della Provincia di Benevento, che era stata formata sottraendo territori a quella di Caserta.
Nel tempo libero si appassiona allo studio della botanica e per le sue origini montanare è attratto dalle cime alpine. Il 23 ottobre 1863 è nel castello del Valentino a Torino, dove Quintino Sella ha riunito 36 appassionati alpinisti: lì nasce il Club Alpino Italiano del quale proprio Caso è nominato Vice Presidente.
Alle elezioni del ’65 viene sonoramente sconfitto da Gaetano Del Giudice. E’ il momento dell’isolamento e della delusione per una persona onesta che segue la sua coscienza e sfugge gli opportunismi. Così Beniamino Caso, il gentiluomo dalla faccia aperta, come Gioacchino Toma lo descriverà nelle sue memorie, torna a San Gregorio, dove si dedica alla realizzazione di un grandioso giardino botanico che intitola a sua madre, Luisa Zurlo, scomparsa nel 1858. A Villa Luisa mette a dimora alberi pregiati, essenze, piante officinali, arbusti del sottobosco e la impreziosisce con vasche, fontane, vialetti ed un castelletto diruto ispirandosi, per certi scorci, al paesaggismo del giardino romantico, in un impianto di rara armonia e suggestione.
Nella solitudine politica cui è costretto, Caso coniuga la passione montana e l'interesse botanico, visitando i luoghi più impervi del Matese, dove identifica la Nemianthus trifoliata, una viola che fiorisce a gennaio.
Fondò e fu presidente del Comizio Agrario del circondario di Piedimonte, curando la pubblicazione del bollettino di notizie agrarie detto l'Alifano. Non dimentico dello stretto rapporto familiare con la Capitanata, realizzò uno studio sull'agricoltura pugliese che gli valse il conferimento della Croce dell'ordine della Corona d'Italia.
Nel ricordo delle escursioni alpine compiute negli anni torinesi, Caso realizza il Saggio sulla flora alpina al colle dell’Assietta; nel 1881 il Club Alpino di Susa pubblica la sua opera più significativa, La flora segusina di Francesco Re, traduzione, anzi rifacimento di uno studio in francese del 1805, in cui segue un nuovo metodo di classificazione, ampliando la catalogazione delle piante e soffermandosi sul loro valore terapeutico.
Il suo impegno per la povera gente che in quel periodo dava vita al più drammatico esodo migratorio verso le Americhe lo spinse ad essere uno dei fautori della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Piedimonte, che mirava appunto a combattere la condizione di indigenza della popolazione.
Soltanto nel 1875 tornò alla politica quando venne eletto Consigliere Provinciale: non furono i suoi compaesani, bensì gli elettori del mandamento di Capriati al Volturno, che forse serbavano miglior memoria di quanto Caso avesse fatto per quelle zone.
Proprio quello stesso anno, trasferendo sul piano pratico i suoi studi naturalistici fondò l’Osservatorio Meteorologico di monte Muto; era la prima volta che una struttura del genere veniva localizzata sull’Appennino meridionale. Ed anche questa volta Caso intervenne economicamente nell'allestimento della specola, i cui rilevamenti su precipitazioni, venti e temperature, hanno fornito fino al 1940 un prezioso supporto al miglioramento dell'agricoltura locale.
All'età di 59 anni, dopo dieci ore di agonia, in seguito ad un ictus cerebrale Beniamino Caso morì nella sua casa di Piedimonte il 13 ottobre 1883. Le orazioni funebri furono tenute dai deputati Pietro Rosano e Filippo Teti, che sottolinearono soprattutto il suo impegno di patriota negli avvenimenti del ’60 con la costituzione della Legione del Matese, associandone il nome a quello di Salvatore Pizzi, suo amico e compagno nelle vicende unitarie.
Più tardiva fu l'opera di riconoscimento della figura di Caso e della sua dedizione alla terra natìa ed alla patria. La prima commemorazione si tenne tre anni dopo la sua morte quando, su proposta di Angelo Scorciarini Coppola, venne apposta una lapide commemorativa della specola di monte Muto nel convento di S.Maria Occorrevole, nella quale si rammenta la figura dell'uomo “che per tenacità di onesti propositi - per amore del bene e del giusto - per civili e private virtù senza iattanza rifulse”.
Gli uomini della montagna furono solerti nel ricordare l'appassionato escursionista e già e nell'agosto del 1898, sulla cima del monte Miletto, la sezione napoletana del CAI inaugurò il Rifugio Beniamino Caso alla presenza di moltissimi iscritti provenienti da numerose sezioni del centro sud. A 25 anni dalla scomparsa, nel 1909 il Comune di Piedimonte, sindaco il nipote Vincenzo Caso, fece apporre una lapide sulla facciata di palazzo Caso, nella piazza centrale del paese. È un tardivo riconoscimento del ruolo primario da lui svolto nella creazione della Legione del Matese e un attestato di merito al suo alto ruolo morale.

Petella Giovanni (1857-1935)
Nel 1890 rappresentò i medici italiani al X Congresso internazionale di Berlino, dove, egli per primo, volle gli articoli addizionali della Convenzione di Ginevra per la Croce Rossa. Diresse i lavori preparatori dell'XI Congresso internazionale a Roma nel 1893 e nel '99 fu preposto al reparto oftalmico della Marina creato apposta per lui.. Nel 1903 divenne Libero Docente in Patologia e Clinica oculistica all'Università di Torino. Dopo 9 anni d'imbarcazione, tornato a terra, diresse vari ospedali, e nel '14, alla Scuola di Sanità della R. Marina dettò il suo apprezzato "Corso di propedeutica oculistica". Poliglotta autodidatta, rappresentò l'Italia ai congressi oculistici di Berlino e Utrech, e fu delegato della Marina al Congresso nazionale contro il tracoma (1906). Sono sue 105 pubblicazioni.  Diresse per anni gli annali di medicina navale e coloniale.

Visco Francesco (1875-1963)
Libero docente di pediatria all'Università di Napoli. Nel 1912, precorrendo i tempi, ideò e fondò a Napoli il Pro Infantia, istituto di igiene infantile con corsi di puericultura e assistenza pratica, elevato ad ente morale con decreto del 28 ottobre 1917, la prima istituzione del genere in Italia. E' stato delegato all'assistenza degli esposti di Napoli e del Consiglio prov. di Sanità nonché consigliere provinciale di Caserta. E' stato anche proprietario e redattore del periodico scientifico
Pro Infantia.

Caso Giovanni (1896-1958)
Ha onorato la sua terra con la cultura scientifica. Libero docente di Medicina del lavoro all'università di Napoli (1932) lascia il suo nome affidato a 59 pubblicazioni che trattano una materia quanto mai attuale. E' stato sindaco, deputato nel 1946, senatore nel 1948 e Direttore sanitario delle terme di Agnano. Egli ha scritto anche di argomenti politici, religiosi e sociali; Dal sindacato di classe allo stato corporativo (1929) e Itinerari sociali (1957), sono due tappe della sua vita e del suo pensiero. Ma è nel campo delle malattie del lavoro che lascia un'orma cogli studi sulle dermatosi professionali, sull'ordinamento dei servizi igienico-sanitari in Italia, sulle malattie dei cotonieri, sul benzolismo professionale precoce, le affezioni cardio-vascolari del lavoro, le deviazioni della colonna vertebrale nei contadini, le alterazioni del sangue in rapporto alla fatica e all'alimentazione, ecc..
Ma a dire una svolta significativa  alla sua  vita fu l’incontro con don Zeno Saltini che era venuto a Piedimonte per il novenario dell’Immacolata. Fu proprio grazie all’incontro tra i due personaggi che il 1° settembre 1944 nacque, per iniziativa dello stesso Caso, l’Opera dei Piccoli Apostoli di don Zeno, e con l'aiuto di don Pasquale Panella, “le R.o.s.e. dell'Ausiliatrice” ad Alife.
Dopo la chiusura, da parte del governo centrale, dell'opera di don Zeno, l’Opera Sociale dei Piccoli Apostoli fu  affidata ai Salesiani nel 1954, per i quali  Caso promosse il grande complesso edilizio di scuole, oratorio, officine, campo sportivo.
Oltre al suo impegno per Piedimonte vennero istituiti oratori anche ad Alife, San Gregorio, Gioia, Sant'Angelo, Prata Sannita.
Al Parlamento (8 maggio 1948-24 giugno 1953), fu componente della XI Commissione legislativa del Senato per la Igiene e Sanità; Commissario Governativo all’Istituto Case Popolari di Caserta; Commissario Nazionale della Mutua Coltivatori Diretti; Presidente del “Fronte della Famiglia” di Napoli; Co-fondatore della “Casa dello Scugnizzo” di Napoli; istituì, per primo in Piedimonte, il servizio schermografico, che controllò 1600 fanciulli del popolo; ottenne il ricovero gratuito a 25 ragazzi poliomielitici nelle cliniche ortopediche di Napoli, Roma Bologna; istituì la prima cassa mutua per malattie presso la Cartiera Martino; realizzò il grandioso stadio comunale di Piedimonte.
Proprio quando era all’apice della sua attività politico-sociale,  nel maggio 1958 venne stroncato da in infarto mentre svolgeva un comizio nel teatro Mascagni.

D'Amore Giovan Giuseppe (1901-1969)
Nel 1944 fu direttore tecnico dell'ospedale civile, dal '55 al '65 fu medico capo della cassa mutua coldiretti di Caserta, sindaco di Piedimonte nel '56-'60, nel '66-'69 presiedette l'amministrazione dell'ospedale civile. E' stato anche decorato della croce di guerra in A.O.I. e nella seconda guerra mondiale. Ha al suo attivo una decina di pubblicazione a carattere medico-scientifico.

Gaetani d'Aragona Guido (1923-?)
Specializzato in Chirurgia è divenuto Libero docente in Semeiotica chirurgica. Ha dato alle stampe più di trenta pubblicazioni scintifiche.

Scorciarini Angelo junior (1923-1979)
E' salito 35enne sulla cattedra universitaria, come Libero docente di Oculistica all'Università di Bologna e membro della Società Oftalmologica Italiana. Conta al suo attivo 27 pubblicazioni di medicina oculistica, che trattano di difetti e malattie, di terapia chirurgica, di nuove medicine, e cure specialmente di studi sulla retina.

Scorciarini Angelo senior (1852-1939)
Nasce a Piedimonte d'Alife (Benevento) il 14 marzo 1852. E' agricoltore, banchiere, medico chirurgo.
Pur essendo medico approfondì la scienza e le tecniche agrarie. Deputato del Regno nella XXII e XXIII Legislatura, era amico di Luzzatti, G. Fortunato, Giolitti, Ranieri Ministro dell'Agricoltura. Durante il suo mandato fu promotore del progetto di legge, non realizzato, finalizzato alla separazione della frazione di Pratella dal Comune di Prata Sannita e alla sua costituzione in Comune autonomo. E di altre iniziative parlamentari inerenti l'esercizio e la realizzazione di alcune strade rurali.
A lui si deve la prima cattedra provinciale d'Agricoltura e la fondazione di molti consorzi cooperativi agrari. Fu lui a fondare la Scuola Agraria, la Banca del Matese, a volere la via del Matese, di Valle Agricola e di Gallo-Letino, e i ponti di Raviscanina e Castelcampagnano, le briglie di Valle Paterno e Valle del Torano. Introdusse nuovi metodi agrari e nuove razze animali.
Morì a Piedimonte d'Alife (Benevento) il 10 aprile 1939.

Gaetani d'Aragona Livio (1901-?)
Lo consideriamo un piedimontese per la sua famiglia plurisecolare e perché vissuto qui.
Ha percorso con successo gli studi agrari, è stato Libero docente di Ecologia. In provincia di Benevento fu presidente delle cattedre ambulanti di agricoltura e del Consorzio agrario provinciale. A Roma è stato segretario del Sindacato nazionale dei tecnici agricoli, Segretario della Camera nella XXIX Legislatura e Questore nella XXX, Commissario governativo dei consorzi riuniti di bonifica della Campania (1938-41), Vice presidente dell'Ordine degli Agronomi e dell'Associazione Nazionale Bonifiche e irrigazioni. A Piedimonte fece finanziare il viale Balbo, poi detto della Libertà. Nel dopoguerra è stato estensore col prof. G. Medici, del Piano generale di bonifica del comprensorio aurunco; ha presieduto la Commissione per la bonifica del Basso Volturno e, a Piedimonte, il Consorzio di bonifica del Medio Volturno. E' autore di circa 19 pubblicazioni tecniche negli anni anteriori alla guerra; nel dopoguerra ha collaborato con quotidiani e riviste agrarie ed ecologiche.
Ha fondato pure l'Associazione di famiglia fra i Gaetani d'Aragona (1975), con un centro studi nell'ex palazzo Ducale di Piedimonte. E' stato anche nominato Gr. Ufficiale della Corona d'Italia, ed ha ricevuto la medaglia d'argento al valor militare, e dal '39 è stato membro dell'accademia dei Georgòfili di Firenze.

Masella Angelo (1900-1956)
L'uomo della modestia, dopo i suoi studi specializzati al Politecnico di Torino, nel '28 entrava nella Società "E. Marelli" di Milano come Capufficio Impianti, finché raggiunse la carica di Direttore centrale commerciale. Fu anche consigliere dell'A.E.I. e dell'Associazione Nazionale Industrie  Eletttriche, consigniere e membro dell'A.N.I.M.A. (industria meccanica) e fu promotore della rinascita dell'A.L.D.A.I.. Dette forte impulso alle applicazioni del grande macchinario con il progetto e l'esecuzione di grandi centrali, di impianti di propulsione navale e di sommergibili.

Gregorio Pietrangelo (1928-2019)
Nasce a Calabritto (AV), il 23 luglio 1928, è stato un ingegnere e inventore italiano, pioniere delle televisioni libere italiane, fondatore della prima televisione libera via cavo a Napoli il 23 dicembre 1966: Telediffusione Italiana Telenapoli.
Appena fanciullo segue i suoi genitori a Piedimonte Matese dove vi dimora fino agli sessanta e dove tuttora vive la figlia Annamaria. Negli anni sessanta si sposta prima a Napoli e poi in Francia, dove si laurea in ingegneria elettronica ed ottica. Si dedica inizialmente alla ricerca, realizzando ben 300 brevetti per conto proprio e per conto di imprese di rilevanza mondiale.
Ma i mezzi di comunicazione sono il suo vero interesse; sicché dopo aver fondato e diretto nel 1965 la breve vita del periodico locale, Il Corriere del Matese, più per amore verso il suo paese adottivo Piedimonte Matese nel 1966, proprio a Napoli, Gregorio crea la prima televisione privata italiana. Si tratta di un'emittente via cavo che, nonostante il modesto magazzino di programmi, ben presto si diffonde in numerosi locali pubblici di Napoli. Visto il successo dell'iniziativa, Gregorio inizia a collegare anche i privati e, dall'embrionale ditta individuale, il 17 dicembre 1970 con atto del Notaio Tafuri viene costituita la società «Telediffusione Italiana».
Nel 1971 Telediffusione Italiana è la prima emittente italiana a produrre ed irradiare trasmissioni televisive a colori. Viene ripreso a colori l'intero Cantagiro di Ezio Radaelli.
L'attività di Telediffusione Italiana si svolgeva (e così veniva considerata) come una normale trasmissione a circuito chiuso, sia pure con diversi chilometri di cavo.
Nel 1975 Telediffusione Italiana si era talmente ingrandita da essere considerata la più importante TV cavo d'Europa[senza fonte], con 380 km di cavo primario, 150 dipendenti, 15 giornalisti e 6 studi televisivi a colori.
Il 17 settembre 2018 gli vengono consegnate, dal sindaco Luigi de Magistris, la targa e la medaglia d'oro della Città di Napoli per i propri meriti e in segno di gratitudine dalla città che lo ha adottato e a cui si è dedicato con tutte le sue forze. Anche Piedimonte Matese,  il 15 dicembre 2018, con un’apposita cerimonia, gli attribuisce la cittadinanza onoraria. Morirà poco dopo, a Napoli, il 7 gennaio 2019.
 

Trutta Gian Francesco (1699-1786)
Di famiglia oriunda napoletana, ma nato a Piedimonte,
fu instradato alle vie del Foro dal famoso Pietro Giannone e per questo si laureò in Diritto presso l'università di Napoli, dove si fece addottorare nell'una e nell'altra Giurisprudenza. Egli vestiva l'abito ecclesiastico, e meritò, che gli fosse conferito, mentre era ancora in minoribus, un Canonicato in una delle due Chiese Collegiali di Piedimonte. Fece quindi un passaggio a Roma, dove venne ordinato Sacerdote, e ritornato in patria, esercitò il ministero della divina parola in vari luoghi del Regno e la professione di Avvocato nella Curia Vescovile di Alife. Dopo aver servito per qualche tempo da Vicario generale l'Arcivescovo di Nazaret, passò alla dignità di Arciprete di Santa Maria Maggiore e Rettore del Seminario. Esercitò, quasi continuamente, fino alla fine dei suoi giorni, la carica di Provicario generale nella sua natia Diocesi.
Piedimonte e San Potito Sannitico gli hanno dedicato una via, e lo merita, perché, anche se, a volte, il suo metodo storico non è sicuro, rimane un illustratore innamorato della nostra terra, e la sua opera "Dissertazioni istoriche delle antichità alifane (1776)" è per noi una miniera di notizie. "
II Principe di Colobrano Francesco Carafa signore di Formicola stando in questo suo feudo, nell'agosto dell' anno 1728 vi fondò una Accademia che disse del Caprario dal monte di tal nome, e dalla valle che gli sta a' piedi. E per impresa fece ritrarre lo stesso monte Caprario, nella cui sottoposta valle stanno tutti i pastori, cioè gli Accademici, e poi il Volturno. Questa Accademia di poeti si compose di undici soci, tra i quali: Simone Barra di Piedimonte di Alife (perché allora in servizio come Segretario presso D. Niccolò Gaetani, ma in realtà salernitano) detto Carneo, Francesco Trutta di Piedimonte di Alife detto Montano pastore del Matese, Niccolò Antonellis di Piedimonte di Alife detto Mirtillo del Matese e, successivamente, Giacomo Trutta di Piedimonte di Alife detto Ameto Taurasio." (ARCHIVIO STORICO PER LE PROVINCE NAPOLETANE PUBBLICATO A CURA DELLA SOCIETÀ DI STORIA PATRIA - Anno Terzo — Fascicolo I - NAPOLI, STABILIMENTO TIPOGRAFICO DEL CAV. F. GIANNINI, 1878)

Egg Matilde (? - 1961)
Scrittrice di fama internazionale, figlia di Giacomo Egg, anch'egli piedimontese. Ha insegnato in varie città d'Italia ed è morta a Lima (Perù) il 9 febbraio 1961.
Ha tradotto dal tedesco Egmont di Goethe (1922); ha scritto in tedesco, francese e italiano: Die himmen von Manzoni; Leopardi und was verbindet in Leben und Dichtung; Notes sur Villiers de l'Isle A.; Gattfried Keller - Studio critico (1931), opera poderosa sul grande poeta e romanziere svizzero, ecc.. Ha uno stile sicuro, un pensiero preciso anzi programmatico, una cultura vastissima che essa rende attraente, ma che soprattutto stupisce per quel metodo di trattare.

Manzo Antonio (1929- ?)
Ha approfondito la filologia classica ed ha insegnato presso l'Università Cattolica di Milano. Ha dato alle stampe una trentina di pubblicazioni, molte delle quali in riviste specializzate. Ha parlato ai congressi internazionali di Bucarest su Ovidio, di Malta su Varrone. Ricordiamo i Facete dicta di Cicerone (1969) presentato dall'illustre latinista B. Riposati, il commento all'Eneide, alle Metamorfosi di Ovidio. Approfondito anche nel campo storiografico ha collaborato all'annuario dell'A.S.M.V..

Malatesta Michele
Conoscitore di varie lingue e appassionato agiògrafo e liturgista, insegna presso l'Università di Napoli. Sono sue approfondite pubblicazioni: Leibnitz e il problema dell'unità delle Chiese (1965); La critica humiana della causalità (1970); La logica delle relazioni nella Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino (1973); Logistica e filosofia (1974); Le preposizioni condizionali nel Compendium Logices di G. Savonarola (1977); nonché varie e dotte recensioni.

Paterno Ludovico (1533-1575)
Nell'antica casa Paterno, presso il Vico Fasocchi, sulla vecchia Piedimonte egli nacque il 12 febbraio 1533, da Achille e Angela Aldomorisco*. Era di piccola nobiltà, e perciò in gioventù fu cavaliere e servì il marchese di Cardines. Viveva a Napoli, a San Giovanni a Carbonara, e passava le soste a Piedimonte, nella sua villetta presso Monticello. Spesso nella valle di Alife - in omaggio a lui detta Valle Paterno - si recava silenziosamente a poetare. All'imitatore della poesia petrarchesca capitò quel che era capitato a Petrarca: s'innamorò di una donna lontana ed irraggiungibile, che perciò perdette ogni traccia di terreno e di reale, e divenne un'idea, un sogno evanescente, il fantasma obbligato del suo bisogno di fantasticare. Questa donna-sogno da lui chiamata Mirzia, fu la bellissima Lucrezia Montalto, sposa del conte Luigi Gaetani e poi, morto questi, moglie di Cesare Cavaniglia conte di Troia e Montella. Nel 1560 furono stampate per la prima volta le Rime del Paterno, in Vita e in Morte di Mirzia, con il titolo: Nuovo Petrarca di M. Lodovico Paterno, distinto in quattro parti. La prima e la seconda parte in Vita e in Morte di Madonna Mirzia, la terza di vari soggetti e la quarta de' Trionfi, dedicato al Sererissimo Re Cattolico Filippo d'Austria, stampato in Venezia per il Bevilacqua nel 1560. L'uscita del libro tirò addosso al Paterno l'ira universale per aver osato intitolare il suo libro "Nuovo Petrarca". In verità tale titolo fu idea del suo editore Luigi Valvassori e non dello stesso Paterno che, per questo, se ne dolse con l'editore.
Le suddette Rime furono ristampate in Napoli in due tomi nel 1564 con titolo La Mirzia di M. Ludovico Paterno parte prima, e parte feconda presso Gio. Maria Scotto; accresciuta di rime e capitoli e, nel 1568, la parte terza in Palermo per Gio. Matteo Maida.
Le sue Nuove fiamme furono con diligenza rivedute, e ristampate in Lione da Guglielmo Rovillio nel 1568. II bellissimo Sonetto Teologico, che incomincia Dio, che infinito... "verrà considerato e onorato della debita lode dal Dottor Lodovico Antonio Muratori nel suo Trattato della Perfetta Poesia Italiana tom.2,. pag.418.
Scrisse sedici Satire. Nelle poesie liriche non è privo di eleganza. Amò una Mirzia: e di lei cantando, scherzò molte volte sul mirto, come il Petrarca aveva scherzato sul lauro. Il sonetto qui riportato viene detto dal Muratori "grande e perfetto nel genere suo".

Dio, che infinito in infinito movi
Non mosso; & increato e festi, e fai;
Dio, ch’in Abisso, e’n Terra; e’n Ciel ti trovi;
E’n te Cielo, e’n te Terra, e’n te Abiss’hai;
che mai non invecchi, e innovi mai;
E quel, ch’è, quel, che fu quel, che fia, provi;
Né mai soggetto a tempi o vecchi, o novi,
Te stesso contemplando il tutto fai;
bil Virtù, Splendore interno,
Ch’empj, & allumi il benedetto chiostro;
Sol, che riscaldi, e infiammi e buoni e rei;
o più grande all’intelletto nostro,
Immortale, invisibile, & eterno.,
Quanto che non compreso, il Tutto sei.
(
Il benedetto chiostro, del verso decimo, è il paradiso).

Quando la gioventù era ormai passata, messer Ludovico, celibe e molto religioso, entrò, sembra, fra i Domenicani, e morì a soli 42 anni nel convento di Aversa.
Il Paterno, studioso di lettere classiche di vasta cultura, iniziò la poesia "barbara", d'imitazione del latino, e fu letto, apprezzato e imitato. Il valore della sua poesia rimase alto fino a tutto il '700, finché cioé fu un canone l'imitazione dei grandi autori classici. Dal Romanticismo in poi decadde e fu dimenticato. Il prof. RODRIGO CACHO CASAL ha pubblicato nel 2004, sul n.593 del Giornale Storico della Letteratura italiana: Ariosto, Paterno e la satira sul prendere moglie: tra imitazione e contestazione. Argomento del saggio è la personale lettura ed imitazione che lo scrittore napoletano Ludovico Paterno fece della famosa quinta satira di Ludovico Ariosto, dedicata al tema matrimoniale, nella sua satira dal titolo "Al S. Antonio Rota. Mostra a costui come et quando moglie ha da prendere, et che bisogna fare poiché gli s'è condotta a casa". Tra le profonde divergenze dal modello individuate dall'A. si segnalano, sul piano metrico, l'adozione dell'endecasillabo sciolto in luogo della terza rima, mentre su quello più specificamente contenutistico l'atteggiamento nei confronti del matrimonio, che nel caso di Paterno è notevolmente più concreto, pratico e intriso di cinismo di quello dell'Ariosto. Una "lettura rovesciata" del modello ariostesco, in breve, quella compiuta da Paterno nella sua satira, destinata peraltro ad un pubblico "meno aristocratico e decisamente 'borghese'". Alcuni testi del Paterno sono ancora reperibili presso la "Libreria Antiquaria Gonnelli" di Firenze.

* (Fondation BARBIER-MUELLER pour l'Étude de la Poésie Italienne de la Reinassance, Librairie Droz S.A:, Genève, 2007)

Caruso Enrico (1873-1921)
Nacque a Napoli tre mesi dopo che i suoi genitori, Marcellino e Giovanna Baldini, vi si erano trasferito per motivi di lavoro. Ma Piedimonte era il suo rifugio, qui tornava quel che era, modesto e ilare. Fra i suoi amici commetteva bizzarrie, come ad esempio il cantare di notte al Mercato. Accettò colla sua solita effusione, la nomina a membro d'onore della nostra Società Operaia (1909). Si ricorda la sua presenza anche tra i coristi della novena di San Marcellino, il santo patrono locale.  La sua
biografia completa è presente su tutti i mass media.

Mattera Gino (Pesci, 14 marzo 1923 - Taranto, 25 aprile 1960)
Cittadino adottivo di Piedimonte da che aveva pochi mesi, morto quando la notorietà l'aveva raggiunto. Ha cantato da tenore all'Opera di Roma nel '47, al Massimo di Palermo, al Mercadante di Napoli. Alla radio, fin dal '46, e alla televisione proprio dal primo concerto. Fu ricercato in concerti, ed ha compiuto tournées in Austria (teatro di Stato), Germania, Gran Bretagna (Covent garden), Spagna, Turchia, Egitto, Brasile, Australia, Nuova Zelanda, Pakistan e Malesia. Ha inciso dischi per le case Cetra e Ricordi, e in Australia.
Datosi al cinema, è stato protagonista, colla CEIAD Columbia, nei films La signora delle camelie (Traviata) e La leggenda di Faust di Gounod, e colla DEAR Film in Senza veli e in Amore di Norma. Ha partecipato a Casta Diva, Casa Ricordi, Arrivederci babbo con A. Sordi, Ercole e la regina di Lidia, Le fatiche di Ercole, Caccia alla volpe per la regia di Vittorio De Sica. Fu sulla stampa e sulla critica d'arte e, qunado cantò l'Arlesiana, ebbe le ammirate congratulazioni del maestro Cilea. L'ultima opera Si j'étais roi, fu da lui preparata a Piedimonte con Enrico Caruso, proprio come la prima.

De Benedictis Domenico (1610-1678)
Artista di ignorato valore perché modesto, fu iniziato all'arte dal Santafede, poi passò a Roma, ove divenne uno dei duecento allievi di Guido Reni. A Napoli si fece un gran nome come ritrattista, e per gli affreschi in Donnaregina (si contempli la movimentata Assunzione). Qui, a Piedimonte, forse dell'ultimo periodo di vita, si conserva una Madonna nelle scale di casa, e un dolorante San Bartolomeo al museo. Nella peste del 1656 si rifugiò nel suo paese natale, ma anche qui la peste mieteva vittime, e si dovette rifugiare in una masseria presso Sepicciano. Morì nel 1678 e fu sepolto in San Domenico.
Secondo quanto riportato da Bernardo De Dominici nel suo
Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani", Stamperia del Ricciardi, Napoli 1742, "Domenico de Benedittis  è nato circa il 1610, nella Terra allora, ora città di Piedimonte d'Alife, sentissi da fanciullo inclinato al disegno, laonde in Napoli ebbe i primi rudimenti dell'arte da Fabrizio Santafede, indi passato in Roma con un suo congiunto in tempo che vi fiorivano tanti valenti Pittori, s'invaghì dell'elegante maniera di Guido Reni, onde volle suo discepolo divenire, e con la scorta di quel raro maestro, valentuomo divenne;  come si vede nella volta della Chiesa di D. Regina dipinta a fresco, ove in quadri ripartiti fra cornici di stucco dorati, ha espresso la Vita della B. Vergine, con altre belle figure, e virtù simboliche della gran Madre del Salvatore; quali pitture ebbero molta lode dagl'intendenti, essendo condotte su lo stile di Guido, che vale a dire, ma con perfetta maniera. Dicesi, che Domanico dipingesse altre opere per lo Regno, e per vari particolari, delle quali non avendo noi niuna notizia, passaremo a far parola, come allettato dall'amor per la Patria, e dei congiunti, si ritirò a Piedimonte, ove essendo ben agiato de' suoi averi, attese a darsi diporto, dipingendo per genio, e per alcun suo conoscente, finché giunto all'età di 68 anni, lasciò di vivere circa gli anni 1678".

Carullo Giovanni Antonio (1872-1933)
Fu prima modesto impiegato del Banco d'Italia a Rio de la Plata in Argentina. Dotato di grande intraprendenza, fondò a Mendoza il Banco Italo Español de Cuyo, che acquistò grande importanza, e finanziò l'agricoltura e la piccola industria. Con esso costruì la Mendoza nuova, 150 palazzi in un grande parco. Dilettante di astronomia, impiantò sulla casa un osservatorio, che fu riscattato alla sua morte dal Governo dello Stato, com'era sua intenzione. Non dimenticò Piedimonte, cui donò il cannocchiale e dove inviò vistose somme alla banda, ai poveri, alle associazioni che lo nominarono socio onorario. Ha pubblicato El momento politico-economico actual (1933) e vari studi di economia.

Gaetani d'Aragona Giuseppe (1640-1710)
E' stato un patriarca cattolico, diplomatico. Giuseppe era figlio di Alfonso (1609-1644), 2º duca di Laurenzana, conte di Alife, principe d'Altamura, signore di Piedimonte di Gioia di Dragoni e di Porzia Carafa (1608-1652), già vedova di Ferdinando Caracciolo duca d'Airola. La coppia ducale ebbe molti figli: Francesca (monaca), Giulia (monaca), Francesco (1633-1653), Antonio (1638-1710), quindi Giuseppe, Anna Maria (monaca) e Diana. Giuseppe Gaetani il 15 marzo 1646 fu ammesso tra i cavalieri di Malta.
La prematura scomparsa del fratello maggiore, Francesco, morto senza discendenti, spostò i diritti di primogenitura sul figlio maschio secondogenito, Antonio, che nel 1653 divenne 4º duca di Laurenzana.
Giuseppe scelse la carriera ecclesiastica: consacrato arcivescovo il 15 marzo 1676 dal cardinale Francesco Nerli, coadiuvato dall'arcivescovo Antonio Pignatelli, futuro Innocenzo XII, e Stefano Brancaccio, dal 24 febbraio 1676 fu arcivescovo titolare di Neocesarea del Ponto, il 2 maggio 1695 divenne patriarca titolare di Alessandria dei latini - incarico che tenne fino alla morte - e dal 4 aprile 1676 al 15 giugno 1678 fu nunzio apostolico a Firenze.
A Roma gli furono affidati incarichi: presidente del porto di Ripetta e uditore generale della Curia delle cause apostoliche. Aveva una residenza nella Rocca di Frascati e a Roma abitava al piano nobile di palazzo Caetani, con affaccio su piazza Santi Apostoli.
Rimase sempre attaccato a Piedimonte d'Alife, feudo di famiglia, dove sua madre aveva fondato un convento e insieme al marito aveva creato un teatro. La cappella della famiglia Gaetani era nella chiesa dei Cappuccini.[1] Alla morte di Giuseppe Gaetani una tela con Madonna e Bambino che era nella sua camera da letto, fu messa sull'altare della cappella di famiglia, dove Giuseppe Gaetani fu sepolto. (
Wikipedia)

di Piedemonte Antonio (XIV sec.)
Capitano di ventura, comandava un suo squadrone, e fu presente all'incoronazione della regina Giovanna II, che egli serviva. Ma nulla si sa di lui.

d'Agnese Ercole (1745-1799)
Nato da Vincenzo e Eleonora Melchiorre, nobile famiglia trasferitasi da Napoli a Piedimonte ove nacque il 3 maggio 1745, è cittadino piedimontese. Dopo la prematura morte del padre la madre si risposò poco dopo. Ancora adolescente fu affidato alle cure dello zio arciprete, molto severo. Fu educato nel nostro collegio di San Tommaso dei Domenicani, poi, studente a Napoli, aderì alle ideologie razionalistiche che venivano dalla Francia. Divenne perciò la pecora nera della famiglia, e lo zio D. Domenico, canonico di S. Maria, lo cacciò di casa. A Napoli era sotto le cure di un altro zio, avvocato, che a differenza del primo lo trattò amorevolmente. A Napoli entrò nel collegio dei Domenicani dove fu allievo di padre Ottavio Chiarizia, fervente fautore di una confederazione delle nazioni europee. D’Agnese rimase affascinato da tali insegnamenti e, per questo, tenuto d'occhio anche a Napoli. Nel 1774 emigrò clandestinamente in Francia con il nome di Ercole Giraud, ove vi dimorò per circa 20 anni. Da prima a Ecaylly, Aix-La-Chapelle, presso Lione, dove aprì uno studio privato e poi a Parigi dove continuò ad insegnare filosofia e diritto. A Parigi sposò donna Paolina Thibouthier, nipote del conte André Joseph Abrial, e dalla quale ebbe due figli. Lì la rivoluzione era trionfante e l'esule napoletano ne avvicinò gli esponenti. Egli militava fra i Giacobini e viveva a Marsiglia, dove ormai insegnava privatamente. Partecipò ai moti rivoluzionari francesi del 1789 e subito dopo fu commissario della Repubblica francese nel dipartimento del Rodano. Una volta rientrato in Italia, con Abrial, a seguito dell'esercito rivoluzionario francese, d'Agnese fu scelto quale membro del Comitato esecutivo e poi Presidente della repubblica partenopea. Si rese celebre per la fermezza dei suoi princìpi e per lo zelo profuso nel rendere salda la Repubblica. Quando l'esercito borbonico, le bande di Fra Diavolo e la flotta inglese di Nelson costrinsero i rivoluzionari alla resa senza condizioni s’imbarcò, secondo i patti stabiliti, su una delle 14 polacche ormeggiate nel porto e pronte a salpare con destinazione Tolone, in Francia. Ma, violati gli accordi sottoscritti, anche il nostro d'Agnese, assieme ad suoi compagni di sventura, venne arrestato il 3 agosto e trascinato in catene sul vascello inglese “Foudroyant”, nave ammiraglia di sir Horatio Nelson e successivamente nel carcere del Carmine. Egli fu condannato a morte quale traditore e collaboratore degli invasori stranieri e per questo condannato a morte per impiccagione. Il 30 agosto, prima di essere accompagnato alla presenza del boia si avvelenò. Seppure moribondo l’esecuzione fu rinviata di un solo giorno. Trasportato al patibolo agonizzante, sopra una sedia, venne impiccato nella Piazza del Carmine a Napoli il 1° ottobre 1799.

Pepe Luigi
Luigi Pepe è nato a Piedimonte Matese (Caserta) il 3 agosto 1947. Laureato in Matematica presso l’Università di Pisa nel 1969, è stato assistente e professore incaricato presso le Università di Pisa, Trento e Ferrara. Dal 1976 è professore ordinario presso l’Università di Ferrara. Dal 1986 è titolare della cattedra di storia delle matematiche.
E’ stato invitato a tenere conferenze presso molte Università straniere (Parigi VII, Lione, Nantes, Cambridge, Saragozza, Valencia, Los Angeles, Pechino, Hannover, Montpellier, Liegi, Atene, Mosca, Hyderabad, Budapest, Amsterdam, Utrecht) e in quasi tutte le università italiane.
Fa parte del comitato scientifico di quattro riviste scientifiche italiane (Physis, Annali di Storia delle Università Italiane, Educazione Matematica, Annali dell’Università di Ferrara sez. VII), della rivista di storia delle matematiche dell’Accademia delle scienze di Russia ed è vicedirettore del Bollettino di Storia delle Scienze Matematiche.
Ha coordinato per la sede di Ferrara numerose ricerche PRIN finanziate su fondi nazionali e ricerche finanziate dal CNR e dall’Istituto Nazionale di Alta Matematica. Ha diretto a Ferrara per decenni le ricerche finanziate dall’Ateneo nel campo della storia delle matematiche. Ha organizzato tre convegni internazionali dell’INDAM sulla storia delle scienze matematiche e delle istituzioni scientifiche.
Unisce l’attenzione per la storia delle scienze matematiche a quella per le istituzioni scientifiche. E’ autore di oltre duecentocinquanta
pubblicazioni in riviste specializzate italiane e straniere, sottoposte a referee o in volumi a cura dei maggiori specialisti internazionali nel campo dell’analisi matematica e della storia delle matematiche. Tra queste figurano una ventina di monografie, dedicate a Copernico, Lagrange, Monge, agli Istituti Nazionali ecc., presenti nei cataloghi delle biblioteche centrali delle più note Università statunitensi (Harvard, Yale, Berkeley ecc.) e delle biblioteche nazionali (Parigi, Londra, Vienna, ecc.).
Le ricerche del Prof. Pepe, esposte in larghissima maggioranza in lavori ad un solo nome, afferiscono ad un settore non bibliometrico (MAT/04).  Nel 2016 ha pubblicato un’ampia monografia sulla storia degli insegnamenti matematici in Italia, recensita favorevolmente da numerose riviste internazionali. I suoi studi sulla storia delle scienze e delle istituzioni scientifiche, e in particolare sugli insegnamenti matematici e tecnici, sono noti e citati dagli specialisti di storia delle Università europee. Per le sue ricerche sulla storia dell’Università di Ferrara è stato incaricato a tenere la prolusione per l’anno accademico 2017-18.
Ha ricoperto numerose cariche istituzionali presso l’Università di Ferrara (presidente del corso di laurea, membro del senato accademico integrato, membro del consiglio di amministrazione, decano dell’Università ecc.). Ha diretto, nella fase di fondazione, la SISS, per la formazione degli insegnanti, in convenzione con le Università dell’Emilia Romagna.
E’ segretario del Comitato per la pubblicazione delle opere di Gaetano Salvemini, membro del comitato scientifico della Fondazione Bassani, socio dell’Accademia delle Scienze di Ferrara e della Deputazione Ferrarese di Storia Patria, componente dell’istituto per la storia del Risorgimento (comitato di Ferrara), socio dell’Académie Internationale d’Histoire des Sciences. E’ stato presidente della Società Italiana di Storia delle Matematiche.
Ha tenuto corsi presso l’INDAM, l’Università di Trento e l’Università di Ferrara (Analisi matematica, Calcolo delle variazioni, Storia delle matematiche, Storia degli insegnamenti matematici). Ha fatto parte in modo continuato del Collegio di Dottorato dell’Università di Ferrara, dirigendo il lavoro di tesi di diversi ricercatori nel campo della storia delle matematiche. Rappresenta l’Università di Ferrara nel Centro Interuniversitario per la Storia delle Università italiane (CISUI).
l prof. Luigi Pepe è stato nominato professore emerito nell’Università di Ferrara.
La nomina è stata deliberata all'’unanimità dal Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università di Ferrara nella seduta del 17 gennaio 2018. La Mathesis si dichiara onorata di annoverare la personalità del prof. Luigi Pepe fra i suoi soci e grata gli ha espresso le più sincere felicitazioni. (fonte:www.mathesisnazionale.it)

Marrocco Dante Bruno (1915-2006)
Laureato in Lettere e in Filosofia presso l'Università di Napoli, ha insegnato presso vari istituti di Terra di Lavoro. Dal 1968 al 1974 è stato preside del Liceo Scientifico di Piedimonte Matese. Dal 1949 è ispettore onorario ai Monumenti e direttore del Museo Civico. Nel 1965 ha ripristinato l'Associazione Storica ricoprendone, da allora, la carica di Presidente. Ha stipulato a favore dell'ASMV (Associazione Storica del Medio Volturno) l'atto di donazione di un fabbricato di sua proprietà in Piedimonte Matese, via Sorgente 4/6. Ha curato il testo delle lapidi murate dall'Associazione Storica. Può essere considerato, senza ombra di dubbio, il massimo studioso di storia locale e non solo. Numerose sono le sue monografie lasciate ai posteri. Tra queste ci piace ricordare il caposaldo, Piedimonte Matese (I ediz. 1961, II ediz. 1980, III ediz. 1999), La Guerra nel Medio Volturno nel 1943 (1974), La Guida del Medio Volturno (1985). Oltre 20 Quaderni di cultura, Documenti per la storia dei Paesi del Medio Volturno, articoli su stampe varie, guide turistiche ed opuscoli commemorativi. Questo il link della sua nutrita bibliografia.

Sanseverino Gaetani Aurora (1669-1726)
Nata a Saponara (Grumento Nova, oggi Grumento, Potenza, il 28 aprile 1669, morì a Napoli il 2 luglio 1726). Figlia di Carlo principe di Bisignano e di Maria Fardella, principessa di Pacecco. 
Ebbe ottimi precettori e compì gli studi di latino, di filosofia, di pittura e di musica anche se privilegiò sempre la poesia. Sposò nel 1680 Girolamo Acquaviva di Conversano e, rimasta vedova nel 1681, si unì in seconde nozze con Nicola Gaetani d'Aragona, conte di Alife e duca di Laurenzana.
La sua esistenza si alternava tra Napoli ed il Palazzo Ducale della famiglia Gaetani a Piedimonte, vicino al quale fu costruito, per suo volere, un piccolo teatro ed ella stessa partecipò come attrice a qualche rappresentazione. Appassionata ed abile nella caccia al cinghiale, partecipò ad alcune battute sui monti del Matese. Ebbe due figli, Cecilia e Pasquale ma entrambi morirono presto.
Di formazione musicale e letteraria, entrò nel 1691 a far parte dell'Arcadia romana, col nome di Lucinda Coritesia, e nel 1703 della Colonia arcadica napoletana Sebezia.
Ebbe la fortuna di avere come maestri uomini illustri e celebratissimi del secolo, come Leonardo da Capua, il Calabrese, il Vico. Venne commendata dal Chiesa e dal Crescimbeni. Partecipò alle attività dell'accademia degli Spensierati di Rossano, invitandone i membri ai salotti da lei intrattenuti presso Napoli (a casa Gaetani a Port'Alba) e Piedimonte d'Alife Matese, paese in cui fece edificare la chiesa della SS. Concezione di Maria ed il monastero connesso (1710). Gli scritti di S., per lo più poesie, pur denotando una certa fissicità nell'applicazione dei canoni arcadici, sono appassionati e  vivaci; varie raccolte poetiche le racchiudono: si ricordino le Rime degli Arcadi (1716 e 1736), i Componimenti poetici (1726) e la Raccolta di rime di illustri napoletani (1702). La dimestichezza di S. con la musica si esplicita nella corrispondenza corposa e duratura (1698-1712) col musicista G. A. Perti, nella sua personale stesura dei testi di numerose cantate (L'ipocondria, Dove del bel Torano, Lucinda e Delia etc.) nonché nelle tantissime e lodate commissioni date a celeberrimi compositori dell'epoca (A. Scarlatti, N. Giuvo, Händel), cantate e musicate da virtuosi di fama internazionale. Generosa mecenate, S. contribuì con il proprio gusto a influenzare la produzione dell'allora prestigiosa Confraternita dei Sette Dolori e delle altre istituzioni teatrali e musicali napoletane e a favorire l'intellighenzia locale che stava apportando un rinnovamento culturale profondo che all'epoca poteva apparire rivoluzionario.

Varale Vittorio (1891-1973)
Vittorio Varale nasce a Piedimonte d'Alife (oggi Piedimonte Matese in provincia di Caserta) da genitori piemontesi, il 21 aprile 1891. Il padre Luigi era un agente delle imposte distaccato a Piedimonte, come erano piemontesi la grande maggioranza degli esattori distaccati per l'Italia dopo l'Unità. Ritorna nel 1901, a dieci anni, nel Nord Italia. Nel 1908 interrompe gli studi e si impiega in una impresa di costruzioni dove lavora anche Vittorio Pozzo. Nel 1909 dà alle stampe un opuscolo dedicato a Giovanni Gerbi e sono del 1910 i primi servizi come inviato sportivo. Nel 1911 segue, per conto della "Gazzetta dello Sport", la corsa ciclistica Parigi-Torino. Collabora contemporaneamente al "Lavoro" di Genova occupandosi di cronaca e di resoconti sportivi. 1915/1918: riformato due volte, viene riconosciuto idoneo ai servizi sedentari ed esonerato perché comandato alla direzione della "Gazzetta dello Sport" che condivide con Ugo Toffaletti. Tullio Morgagni lo chiama al "Secolo Illustrato" per la campagna di valorizzazione dell'aviatore in guerra. Fonda l'"Opera per l'addestramento sportivo del soldato" (O.A.S.S.). Organizza manifestazioni sportive per finanziare l'acquisto di attrezzi sportivi, medaglie, coppe e palloni per i militari al fronte. Assieme al col. Tifi, consigliere della Federazione di Ginnastica, inventa il "percorso di guerra". Nel 1922 diventa direttore comproprietario di "Sport" detto "Sport giallo", successivamente costretto a cederla. Da Alberto Masprone gli viene proposta la direzione dell'ufficio miilanese del "Corriere dello Sport" di Bologna, giornale che verrà rilevato da Leandro Arpinati e intitolato "Littoriale". Fra il 1922 e il 1926 collabora con "Giustizia" e "Il Mattino".
1923: viene assunto dalla "Gazzetta dello Sport" alla direzione del reparto pubblicazioni varie, opuscoli e volumi.
Nel 1926 conosce Mary Pellegrino che sposerà nel 1937: amante dell'alpinismo Mary sarà la sua guida nell' avvicinamento alla montagna. Nel 1928 Curzio Malaparte lo invita a collaborare con "La Stampa" per l'alpinismo ed il ciclismo e viene inviato al Tour di Francia.
Dal 1928 al 1932 è redattore della rivista "Lo sport fascista".
Dal 1936 al 1943 è gerente della rivista "Relazioni internazionali" e fino al 1943 è redattore de "La Stampa". In qualità di redattore, il 25/7/1943 su richiesta di Cesare Fanti, assume la responsabilità di firmare il giornale.
L'8 gennaio 1944 con circolare del Ministero della Cultura Popolare della Repubblica di Salò, assieme ad altri 199 giornalisti e scrittori, gli viene inibito l'esercizio della professione e viene espulso dall'ordine dei giornalisti per "indegnità politica" ed è costretto alla clandestinità. Nel 1945 rientra a Torino e riprende il posto di lavoro a "La Stampa" dove viene assunto il I° luglio quale redattore con mansioni ordinarie e capo dei servizi sportivi. Viene eletto consigliere della ricostituita "Associazione della Stampa Subalpina" resterà membro dei Probiviri fino al 1948. Collabora anche con "La Gazzetta d'Italia".
Nel 1950 lascia "La Gazzetta del Popolo" e "La Gazzetta Sera" . Nel 1952 riceve il premio Pirelli per i servizi sul ciclismo. Nel 1954 viene premiato col Saint Vincent per gli articoli sull'alpinismo. Nel 1961 l'USSI (Unione Scrittori Sportivi Italiani) lo premia per una lunga serie di articoli retrospettivi. Vince due premi letterari del CONI nel 1966 per il volume "La battaglia del sesto grado" e nel 1969 per "I Vittoriosi". Infine nel 1969 il Presidente della Repubblica, on. Giuseppe Saragat gli consegna il premio Saint Vincent conferitogli dalla Federazione della Stampa per "l'appassionata attività di giornalista svolta durante mezzo secolo". Nel 1963 perde la moglie Mary e, traumatizzato dal dolore, da quel momento abbandona praticamente ogni collaborazione. Muore a Bordighera il 26 novembre 1973.

Del Giudice Gaetano (1816-1880)
Gaetano del Giudice nacque a San Gregorio il 4 novembre 1816. Poco si sa dei suoi anni giovanili, salvo le sue amicizie a Napoli con i fratelli Poerio ed altri giovani raccolti attorno a Silvio Spaventa; con essi dette vita al giornale "Il Nazionale" il quale, seppure con idee moderate, tendeva a raggiungere l'unità nazionale. Conseguì due lauree la prima di medico speziale e la seconda in legge, tuttavia non esercitò nessuna delle due professioni.
Nel 1848 fu eletto al Parlamento Napoletano di Terra di Lavoro e sedette nei banchi dell’opposizione. Gaetano del Giudice si trovò ad assolvere l’ingrato compito di governatore delle Provincia di Capitanata proprio durante il periodo più difficile: il 1860. Egli giunse in Capitanata nel settembre 1860, poco prima dell’imminente Plebiscito, nominato da Garibaldi con il compito di “[…] vigilare sullo spirito pubblico e soprattutto, preparare opportunamente la votazione nei diversi comuni, per evitare che si verificassero disordini e sorprese nei risultati […]”. I governatori ed i prefetti di Foggia negli anni del brigantaggio furono tutti settentrionali da Bardesono a Stada a De Ferrari, con la sola eccezione di Gaetano Del Giudice, prefetto di nomina politica.
Nell'aprile del 1861 fu eletto deputato nel collegio di Piedimonte: rimase in Parlamento dall'VIII alla X legislatura (18161-1870) e sedette a sinistra. Nel 1862 il capo del governo Urbano Rattazzi lo destinò a Foggia come refetto, utilizzando ancora una volta l'esperienza del De Giudice nella repressione del brigantaggio.
Fu iniziato Libero Muratore nella Loggia "Dante Alighieri" di Torino tra il 1862 e il 1865. Visse tra Napoli ed Apricena nella tenuta di famiglia “La Torre” dove si spense il 9 maggio 1880.
"Governatore di Foggia era Gaetano Del Giudice, messovi da D. Liborio; che subito s'era fatto Garibaldesco: accozza quanti può liberali, dugentocinquanta Garibaldini, e pur due frati con fasce tricolorate, e accorre. La popolazione al vederli da lontano piglia l'arme, uccide i ventisette nelle carceri; ed esce incontro agli assalitori: a'primi colpi il Del Giudice va in volta e ricovra in un convento di campagna. Al rumore si solleva pur S. Marco in Lamis, comune grosso di sedicimil'abitanti. Il governatore assalito al mattino, perduta una bandiera, prigionieri e morti, fugge a Manfredonia. Quivi ha due cannoni, raccoglie faziosi e Garibaldini, e fatti 1500 uomini, ottenuto dal dittatore poteri illimitati, sparge il 26 una proclamazione, minacciante a preti e reazionarii galere, taglie, ferro, fuoco e fucilazioni. Il dì stesso a vendetta move a S. Giovanni, per la via di Rignano, ove avea fautori; ma visto da S. Marco, questa popolazione tumultuando picchia ogni porta, tutta notte aduna arme e munizioni, e assale i Garibaldini, che dormito a Rignano andavano a S. Giovanni. Questi trovatisi in mezzo tra le due popolazioni uscite a percuoterli, dopo due ore di zuffa si ritraggono a Rignano. Ne'seguenti dì avvisaglie lievi.
Il Del Giudice, fallita la forza, cercò con arte acchettare S. Marco, terra grossa. S' interposero i preti; si considerò già i Sardi nel cuor del regno indifeso e inerme, venir forze da tutte parti; e si venne a composizione, per la quale i Garibaldini entrarono in S. Marco chetamente. Il comandante, certo Romano, per dire d'aver fatto votare il popolo, pretese ciascuno mettesse il SI al cappello; e a'contadini si disse il si significare la pace. Si contentò di tal finzione. Dappoi imposero la tassa di guerra in seimila ducali; cioé 5000 a'galantuomini, e 5000 al clero. Il Del Giudice poté negli altri comuni vendicarsi meglio: seguirono cacce d'uomini, uccisioni, rapine, e ogni abbominio. Fucilò dieci a S. Giovanni; molti condannò a'ferri, moltissimi a carceri; e posevi taglia di diecimila ducati anche per metà su' preti. Taglia di quattromila a Cagnano. In quella tumultuava Roseto, pur con sangue e fucilazioni represso. Lo stesso ad Ascoli, e fuvvi morto il capitano Nazionale. Ma la reazione salì a'monti; e il Gargano lungo tempo fu di rea guerra teatro infelice
. (Giacinto  De’ Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, vol.II, Trieste, 1868)."
Vero è che l’atteggiamento assunto da Gaetano Del Giudice compromise il già difficile rapporto con Alfonso La Marmora, anche perché Del Giudice non disponeva di uomini capaci di aiutarlo a risistemare le sorti della Capitanata, ed in più c’era la sopraffazione del potere che spingeva Del Giudice ad assumere discutibili atteggiamenti ritenuti drastici nei confronti dei colpevoli. Per questo fu accusato di aver commesso atti che avevano seriamente compromesso la sua moralità e la sua integrità di funzionario. Il duca di Bovino ed il Ricevitore generale di Capitanata, contestarono la nomina a prefetto di Gaetano del Giudice che, a loro avviso, si era rivelata “un gravissimo errore”, adducendo una serie di motivazioni e considerazioni ritenute politicamente valide.

Coppola Vincenzo (1822-1889)
Fu medico e uomo politico di principi cottolici-liberali. Scrisse: Sull'agopuntura (1854), Memorie contenenti quesiti sull'iritide (1855). Pubblicò anche carmi latini, e Lettera di un cattolico a G. Mazzini (1865), Sull'inondazione di Piedimonte (1858). Bel lavoro di credente e di stilista fu la traduzione in italiano di "La Bibbia dell'infanzia" di Martin de Noirlieu (1845).

de Amicis Ovidio (XVI-XVII secolo)
Nativo di Piedimonte d'AIife, fiorì tra il  XVI  e il secolo seguente.  Si destinò allo stato ecclesiastico, e giunse  ad essere Canonico della Chiesa metropolitana di Capua, ed anche Protonotario apostolico. Passato a Roma, si pose al servizio della casa Gaetani d'Aragona. Quindi essendo stato dal Pontefice Paolo V,  nel 1605, creato Arcivescovo di Capua Antonio Gaetani, e successivamente Cardinale da Gregorio XV, si vuole ch'egli dallo stesso Pontefice, e per mezzo del cardinale Gaetani, avesse fatto ottenere ai  Canonici di Capua l'insegna adinstar Divi Petri di Roma. Egli però si trattenne in Roma, anche quando si diede il governo della Chiesa di Capua a Luigi Gaetani arcivescovo di Antiochia nel 1614. Le sue opere pubblicate in Roma gli fecero acquistare molta fama, anche presso  altre nazioni, tant’è che i Piemontesi Subalpini lo reclamavano come loro conterraneo. Ma ricorsero in errore se solo avessero letto del privilegio concessogli  da papa  Gregorio XV per una sua opera pubblicata ove avrebbero potuto ben leggere: Clericus Pedemontanus  Aliphanae Dioecesis.  Gli storici  e i biografi ne parlano con qualche giunta di lode, come il Ciarlante, Nicolò Toppi, Giangiuseppe Origlia, e anche l'Allacci scrive: Laudatur a Rota, et aliis recentioribus. Sanctorius item Archiep. Urbinas in suis annal. inter primarios  J. C. recenset.
I titoli delle sue opere maggiori sono:  1)
De jure emphyteutico repetitio ex cap. potuit emphyteuta de tocat et conduct cum centum disceptationibus frequentissimis. Romae apud Facciottum 1622. In f..- 2). De primatu Ecclesiae tam in spiritualibus,
quam in temporalibus discursus duo ad Urbanum VIII. P.M.Romae 1633.

Tartaglia Nunzio (sec. XVI)
Di Piedimonte, fiorì nel XVI secolo e diede alle stampe un manuale di pratica criminale di cui si tenne gran conto da parte degli altri professori del Foro: Margaritarum fisci practica criminalis, in qua quomodo in criminalibus judiciis criminaliter intentatis sit procedendum, et quae poena de jure civili, canonico, et Regni hujus veniat irroganda, novo ordine per practatur. Neap.1556 in 4. Ne furono fatte diverse edizioni, con aggiunte, da parte di altri dottori modificandone il titolo in modo da farla passare come opera propria.
Le altre edizioni del Tartaglia sono: Neap. apud Horatium Salvianum 1586 in 4 cum additionibus D. Caroli Grimaldi JC. 1590-1600-1610, ex typ. Tarquinii Longi 1619. sempre in 4, nelle quali si ravvisano le addizioni anche di Giulio Cesare Como, di Francesco Ristaldi, di Ascanio Tolomeo, di Fabio di Paolo, di Tommaso Alfani, di Orazio Marchese, e di Pietro di Morante. L'autore ne fece dedica a Vincenzo de Franchis. Scrisse inoltre Commentaria super pragmatica fin.de compositionibus, Neap. 1582. Ne parlano con lode il Ciarlante, il Chioccarelli, Niccolò Toppi e Baldassarre Benedella, famoso giureconsulto, che per la sua Pratica criminale gli fece una dedica.

Ciccarelli Lorenzo (sec. XVIII)
Lorenzo Ciccarelli di Piedimonte d'Alife lasciò la professione del foro per impegnarsi non poco nel campo dell'editoria, in particolar modo per le edizioni di autori toscani, che all'epoca erano in gran pregio presso gli uomini di lettere.
Il luogo della sua patria si conosce attraverso una dedica che l'editore rivolge
a D. Aurora, nata Principessa di Sanseverino, lodando la Principessa di avere accresciuto di monasteri e templi Piedimonte d'Alife mia patria, terra la più doviziosa non pur del vostro ampissimo stato, ma di questo regno tutto. Egli si associò con Già Massimo Porcelli uno dei più rinomati negozianti di libri della piazza napoletana, ed estesero il commercio colle nazioni estere, per cui in Napoli si introdussero le opere degli Oltramontani. Essi dunque, insieme, progettarono di riprodurre le migliori opere di classici scrittori Italiani, e farle comparire nella repubblica delle lettere non solo bene impresse, ma anche esattamente corrette. La loro impresa riuscì con molto decoro della nazione, poiché furono grandemente applaudite tutte le loro ristampe, presso gli uomini di gusto tanto nazionali, che esteri. Il Ciccarelli si mascherò per lo più sotto nome di Cellenio Zacclori, come apparve specialmente dalla dedica ch'egli fece della commedia di Dante all'avvocato napoletano Tommaso Farina, e dall'altra delle lezioni intorno alla natura delle Mofete di Lionardo di Capoa ad Aurora Sanseverino. Morì non molto agiato di beni di fortuna a dispetto del gran guadagno, che pure aveva ottenuto dalle sue fatiche.

Cuomo Maria (detta Nancy)
Nasce a Piedimonte Matese il 09/05/1949. Cresciuta musicalmente a Napoli dove incide per la KappaO entra giovanissima nel mondo della musica leggera grazie ad un complesso di amici piedimontesi (I Paladini) con il quale si esibisce a feste paesane. A metà degli anni sessanta si trasferisce a Roma e ottiene un ingaggio presso il famoso locale "Kilt". Viene scoperta da Nico Fidenco che la presenta ai suoi discografici.
Nel 1966 viene scelta per interpretare la colonna sonora del film "Kiss kiss bang bang" di Duccio Tessari con Giuliano Gemma. Il titolo del brano è "Love love bang bang" composto da Pino Cassia e Bruno Nicolai. Il singolo la mette subito in luce nel mondo delle sette note. Nel 1968 prende parte al Cantagiro interpretando il brano "Ieri" che raggiunge la finale. La canzone ha subito successo e viene ripetutamente trasmessa in radio ed in tv. Nello stesso anno partecipa alla trasmissione "Settevoci" condotta da Pippo Baudo, dove risulta campionessa per varie puntate. Nel 1969 firma un contratto con la Mercury ed incide la nota canzone "Concerto d'autunno" del maestro Bargoni. Viene premiata con la "Caravella d'oro" nella manifestazione "Nuovo Lido di Genova". Nello stesso anno incide "Avangers" scritta da Gianni Ferrio, Pino Cassia e Federico Monti Arduini, che diventa colonna sonora dello sceneggiato televisivo di successo internazionale "Agente speciale" in onda sulla Rai. Vince il Festival di Melfi. 
Nel 1974 pubblica l'album "Viaggio nell'amore" curato da Manuel De Sica e da Sandro Blonksteiner. Dall'album è tratto il singolo "Viaggio con te" composto dallo stesso de Sica che sarà colonna sonora del film "Il viaggio" di Vittorio De Sica con Sofia Loren e Richard Burton.
Nel 1975 a causa della prematura scomparsa del suo produttore Leopoldo Buttaro, Nancy Cuomo resta lontano dal mondo discografico e dai programmi radiotelevisivi per alcuni anni. In tale periodo di assenza è protagonista di un lungo tour all'estero dove ha modo di esibirsi nei teatri, nelle tv e radio di vari paesi tra i quali Jugoslavia,Spagna,Francia ,Germania e Stati Uniti 
1978 : Vince il trofeo Remigio Paone.L'evento viene trasmesso dalla Rai nella trasmissione "Incontri internazionali dello spettacolo" 
1979 : Torna sul mercato con il singolo "Prendimi" composto da Michele Armetta per la Mia records.Il singolo viene presentato a "Domenica In" condotta da Corrado.Il suo ritorno viene ampiamento promosso dagli organi di stampa.Nello stesso anno è testimonial della campagna pubblicitaria dell'azienda "Bevande Sasso" 
1980 : Firma un contratto con la Hilton records con la quale incide il singolo "Prendimi,tienimi" che reca nel retro il brano "Io e te,tu e lei" ambedue composte da B.Lanza 
1994 : Dopo una lunga assenza dagli schermi e dal mercato viene invitata dagli autori della trasmissione "Magazine 3" in onda su Rai tre,una vetrina televisiva sugli artisti del passato 
1996 : Nancy però non si sente un'artista del passato e crea l'etichetta discografica "Nancy Cuomo Music",con l'obiettivo di autoprodursi,cercando di rimuovere lo stato di oblio e con la volontà di promuovere giovani di talento.La sua prima produzione è costituita dall'album "E nisciuno vo' sentì".Il brano che dà il titolo all'album parla dello sfogo di un ragazzo napoletano stanco delle ingiustizie e delle promesse mancate dalla società.Le emittentiradiofoniche private partenopee trasmettono a ripetizione il brano che diventa subito un hit.Dello stesso album segnaliamo "Senza meta" composto da Gerry Mottola,"icaro" composto da A.Nasca e "Vita e musica" sempre dello stesso Mottola.Nell'aprile dello stesso anno partecipa alla trasmisisone televisiva di Rai due "Fuori dai denti" dove si esibisce con Memo Remigi e Franco Oppini interpretando "Aggiungi un posto a tavola" 
1997 : Con la sua etichetta ha però notevoli difficoltà di promuovere le sue produzioni rivolte a giovani di talento come Loretta Moriconi e l'orchestra jazz Red Pellini swingi'n the twenties nie circuiti radiotelevisivi nazionali.Nel dicembre prende parte alla trasmissione radiofonica di radio due "Stasera a Via Asiago 10" in occasione di Telethon dove presenta il brano "Mio figlio" 
1998 : Pubblica il cd singolo "Parlami ancora " che contiene tre brani composti da Gerry Mottola.Del cd segnaliamo il brano "Bella Notte" 
1999 : Produce l'album dei Tutania dal titolo "Come un bambino".Le difficoltà ad avere opportunità di promozione radiotelevisiva hanno procurato negli anni un inevitabile calo di popolarità.Nonostante questo l'artista continua ada amre il suo lavoro e crede di "avere ancora qualcosa da dire".Decide dunque di concentrare la sua attività nella promozione di spettacoli dal vivo 
2000 : E' ideatrice e protagonista,con l'attore Mario Donatone dello spettacolo "canti del cielo",realizzato in occasione del Grande Giubileo.L'evento è stato patrocinato dalla Provincia di Roma e ha trovato l'accoglienza favorevole da parte di Sua Eminenza Monsignor Rino Fisichella,allora Vescovo ausiliare di Roma ed attuale rettore della Pontificia Università Lateranense 
2007 : Presenta lo spettacolo "L'eco di Roma.Un canto semplice semplice" che è un omaggio alla sua città adottiva.Lo spettacolo musical-teatrale è composto da canzoni e poesie romane,scritti ed aneddoti antichi che abbracciano l'universo della romanità,vestendolo di un nuovo abito senza alterarne il fascino e l'importanza della tradizione 
2009 : Ritorno discografico per l'artista che incide l'album "aria di Roma" dove rilegge alcune tra le più belle pagine della canzone tradizionale romana.Inoltre porta in teatro lo spettacolo omonimo dove oltre la musica è presente anche tanta poesia 
Ha ottenuto anche un grosso seguito in Polonia,Inghilterra dove ha inciso col nome d'arte di Mary featt Attualmente prosegue la sua attività di ricerca di nuove espressioni artistiche.