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  Anarchici sul Matese
 


In Italia la crescita del movimento operaio si delinea sulla fine del XIX secolo. Le prime organizzazioni di lavoratori sono le società di mutuo soccorso e le cooperative di tradizione mazziniana e a fine solidaristico. La presenza in Italia di Bakunin dal 1864 al 1867 dà impulso all’anarchismo. L’episodio anarchico di propaganda più noto è quello del 1877 (un gruppo di anarchici tentò di far sollevare i contadini del Matese). La strategia insurrezionale fallisce mentre riscuote molto successo il partito Socialdemocratico nelle elezioni del 1877.
Il Matese, ed in particolare i comuni di Letino e Gallo Matese, vennero scelti come teatro di un tentativo, disperato ma generoso, di cambiare lo stato postunitario, per molti versi incapace, presente spesso solo con burocrati e militari. Certamente iniquo nella sua politica sociale ed economica. L'obiettivo era quello di sfruttare l'ondata di malcontento che regnava nella classe contadina. Eppure, proprio i contadini, coloro che avrebbe dovuto costituire lo zoccolo duro della rivolta, tradirono le aspettative dei leader anarchici.
Il Matese era una regione dove nel recente passato il brigantaggio aveva spadroneggiato, creando seri problemi al Regno da poco nato. Una zona, ritenevano gli anarchici, adatta alla guerriglia. Da qui - nel cuore del Mezzogiorno, i leader anarchici - Carlo Cafiero, Errico Malatesta e Ceccarelli ritennero di far scoccare la scintilla della rivoluzione. Lo scopo era quello di occupare, con pochi uomini, una zona simbolicamente importante perché inespugnabile, e da lì incitare all'azione chi agognava alla libertà. Oggi si può dire che l'ingenuità del piano era pari solo all'entusiasmo dei suoi organizzatori. L'operazione sarebbe dovuta scoccare a marzo, ma la neve ancora presente nel Matese fece rallentare i piani degli anarchici e permise al ministero degli Interni, debitamente informato, di studiare delle contromosse. Il 3 aprile 1877, arrivarono a San Lupo (Benevento) due strani ed eleganti signori inglesi (un distinto signore dalla fluente barba castana ed una bionda e pallida signorina dagli occhi verdi) che presero in affitto una casa, nota col nome di Taverna Jacobelli. Con loro c’era altra gente: un segretario interprete, un cuoco, un cameriere. Alla "Taverna" furono scaricate pesanti casse. A San Lupo si parlava di questi forestieri e nessuno metteva in dubbio la loro identità ed i motivi della loro presenza. Invece da Napoli, la polizia seguiva le mosse di questi forestieri, informatissima; si sapeva che doveva scoppiare, in quella zona, un moto rivoluzionario che doveva trascinare alla rivolta le masse contadine. Ma, allora, chi erano questi forestieri? Il distinto signore inglese era Carlo Cafiero, un nobile di Barletta che aveva esperienze d’alto livello per il lavoro svolto nella Internazionale, prima con Engels, poi con Michele Bakunin. Cafiero consumò tutto il patrimonio ereditato, per le imprese anarchiche. La bionda e pallida signorina era la compagna russa dell’esule nikilista russo Stepnjak. Il segretario-interprete altri non era che Errico Malatesta, l’ardente agitatore ventiquattrenne di S. Maria Capua Vetere (Caserta). Tra il personale di servizio, figurava l’ex garibaldino Pietro Cesare Ceccarelli, un teorico della guerriglia ed Antonio Cornacchia, detto "Bavaresa", anch’egli ex garibaldino, muratore quarantenne di Imola, che nel 1874 aveva partecipato al tentativo insurrezionale di Bologna. Naturalmente le pesanti casse contenevano armi, viveri ed equipaggiamento. I capi del movimento internazionalista, Cafiero, Malatesta e la russa Schow si erano già presentati per l'appunto come inglesi ma un certo Salvatore Farina, ex garibaldino, avvisò i carabinieri di quali inglesi si trattava, e subito fu arrestato il consulente militare della banda, il russo Sergius Mikhailovich Kravchinsky, detto Stepnjak. Nonostante il tradimento della guida locale ed i numerosi arresti operati dalla polizia, all'appuntamento con questi signori "inglesi" invece che cento uomini - come preventivato - se ne presentarono solo ventisei - quelli cioè che riuscirono ad ingannare la vigilanza dei carabinieri ed a dirigersi, il 5 aprile 1877, nell’impervia zona del Matese. Il piccolo gruppo di uomini cominciò a marciare, naturalmente ognuno con la sua bella sciarpa rossa in evidenza. Ma le guide promesse non si presentarono, i viveri non giunsero a destinazione. Allora la banda si rifugiò sulle montagne. Quando, alle ore 18,00 del 7 aprile, gli uomini del 55° fanteria mossero da Piedimonte d’Alife, la banda era già transitata dal Perrone: il piano militare prevedeva di prendere, proprio qui, gli Internazionalisti, tra due fuochi. Fu un fallimento, quindi, quello del governo, non un tentativo “voluto” di voler impaurire i dimostranti per poi prenderli sul “fatto” in campo aperto. All’alba dell’8 aprile del 1877 la Banda raggiunse la Piana delle Secine, verso le 10,00 giunse a Letino e, alle 14,00, a Gallo. Il delatore Farina era sparito e gli anarchici, tutti dell'Italia centrale e qualche straniero, non capivano niente della parlata locale. Fecero comunque ingresso nel paese dietro una bandiera rossa e nera.
Napoleone Papini, 20 anni, era con Giuseppe Volponi (20 anni) e Francesco Ginnasi (18 anni) tra i più giovani del gruppo. Gli venne affidato un incarico di rilievo, diventò infatti il Portabandiera (da qui il nomignolo che ricorre in diversi documenti di "vessillifero della rivoluzione" o "dell'Interna-zionale". Sempre nel "Popolare" di Fabriano del 17 agosto del 1913, venne pubblicato un altro pezzo sull'incontro e sui ricordi di Napoleone Papini e di Errico Malatesta: "…Ricordarono l'entrata della banda a Letino; l'invasione del Municipio da parte di Cafiero, Malatesta, Ceccarelli, Bianchini Cornacchia, i quali con rivoltella in mano comunicarono a quei consiglieri che stavano in seduta, che in nome della Rivoluzione Sociale era caduto il governo di Vittorio Emanuele II. L'entusiasmo degli Amministratori di quel Comune, le benevoli parole di un prete che era tra essi il quale suonate le campane a stormo chiamò in piazza il popolo, fuori della chiesa, accanto alla croce, su cui il Papini issò la bandiera rosso-nera, si sono testè ricordate e letteralmente ripetute da questi due vecchi compagni: "E' buona gente questa, va predicando le vere dottrine dell'evangelo, le vere dottrine di Gesù Cristo; ascoltiamoli e seguimoli, o popolo!". Pel riconoscimento di tali sublimi idealità il povero parroco, già anziano, fu più tardi carcerato e scontò parecchi mesi di carcere".

Al Municipio, quindi, dinanzi ad una piccola folla stupita, proclamarono decaduta la monarchia sabauda e ruppero il ritratto del Re. Quando gl'ingenui "tinazzuli" videro bruciare i registri delle tasse e del catasto, si misero ad applaudire, e divennero addirittura entusiasti quando fu distrutto il contatore al mulino, per controllare e tassare il grano macinato.
Grandi discorsi, e via a Gallo che viene "occupata". La leggenda dice che i rivoluzionari avessero deciso di passare agli espropri, ma quando - alla prima pecora sequestrata - il piccolo pastore, tale Purchia, cominciò a piangere, la restituirono. Dopo tre giorni di marcia, la banda giunse a Letino, occupò il Municipio, proclamarono la decadenza della monarchia (solo dopo aver staccato dal muro, ovviamente, il ritratto del re Vittorio Emanuele), fecero un falò con le carte comunali e catastali.
Subito dopo in una piazza ormai affollata di gente, il capo della rivolta Carlo Cafiero, prese la parola e spiegò il programma del movimento internazionalista e il suo scopo: la rivoluzione sociale al fine di abbattere ogni vincolo giuridico e di proprietà; invitò dunque i cittadini a riprendersi la terra che, essendo un bene comune come l'aria e l'acqua, non dovevano diventare proprietà privata. Insomma il programma poteva considerarsi in poche parole: non più soldati, non più prefetti, non più proprietari, nè servi nè padroni; la terra in comune, il potere a tutti.
A questo punto le testimonianze parlano di una donna che fattasi avanti, avrebbe esortato i rivoluzionari a compiere l'opera iniziata e cioè a prendere le terre e a distribuirle, ma Cafiero rifiutò decisamente sia perchè il gruppo doveva andare in altri paesi a portare la scintilla della rivoluzione, sia soprattutto, perchè i contadini dovevano imparare a far da soli, sfruttando le loro forze. "I fucili e le scuri ve li aviamo dati, i coltelli li avite - se vulite facite e si non vi futtite".

La folla era ormai conquistata ed entusiasta, tanto che persino il parroco Raffaele Fortini, inneggiò alla rivoluzione e spiegò ai contadini che vangelo e socialismo era la stessa cosa e che gli internazionalisti erano gli apostoli della parola del signore. Era sincero convincimento il suo, o semplice opportunismo? Difficile a dirsi, certo anche grazie al suo intervento i rivoluzionari erano ormai padroni del campo; si fecero poi guidare al mulino dove misero fuori uso i contatori che registravano i giri della macina e quindi stabilivano l'importo della odiatissima tassa sul macinato che tutti dovevano pagare. Alla fine i rivoluzionari sempre guidati da Cafiero e Malatesta, lasciarono il paese tra gli applausi dei contadini diretti verso Gallo. Qui furono ripetuti gli stessi atti compiuti a Letino tra un analogo entusiasmo da parte dei contadini e del parroco Vincenzo Tamburri.
Intanto si stava organizzando la reazione del governo informato da tempo del progetto di rivoluzione sociale preparato dagli internazionalisti. Infatti la persona scelta come guida perchè a conoscenza dei luoghi impervi del Matese, quel tale Farina di Maddaloni, aveva tradito rivelando tutto al ministro degli interni Nicotera, ex Mazziniano come lui.
Dopo gli eventi di Letino e Gallo si sa
, con certezza, che la notte tra l’8 e il 9 aprile la Banda la trascorse nella masseria dell’arciprete di Montaquila, situata tra Letino, Gallo e Roccamandolfi e il giorno 9 lo passò vagando intorno a monte Costa della Croce, nel tenimento di Longano, dove ci sono pizzi alti anche 1600 metri. Da quelle parti c’è anche il Fosso delle Rave. I carabinieri, intanto, avevano occupato Gallo, dove si era installato anche il comando militare, arrestata l’ultima guida, e sequestrate le armi agli abitanti, a cui erano state distribuite dagli Internazionalisti il giorno innanzi. Si posero delle compagnie, a difesa dell’eventuale fuga degli anarchici verso Isernia, verso Campobasso e verso i paesi posti sul lato sud del Matese; il lato est, verso Benevento, era già sbarrato. Altre compagnie, una volta localizzati i luoghi, avanzarono, stringendosi in cerchi concentrici sempre più piccoli, in modo da restringere sempre di più il campo d’azione dei dimostranti.
La sera del 9 due compagnie di bersaglieri giunsero a Letino. Può sembrare perlomeno strano che per catturare ventisei dimostranti, stremati dalla fatica e dal freddo, si utilizzassero tanti uomini: la realtà è che i politici si posero il problema di fronteggiare un’eventuale sommossa, molto più ampia nelle proporzioni, se davvero, com’era nelle intenzioni, gl’Internazionalisti fossero riusciti a coinvolgere, con la propaganda del fatto, anche le locali masse contadine. La Banda vagò anche nei giorni 10 e 11 aprile. Intanto altre forze governative arrivavano da Piedimonte d’Alife, da Longano, da Isernia e da Castel Pizzuto. Il mattino del 12, dopo aver vagato per tre giorni sui monti del Matese, 
sorpresa dal freddo e dalla neve, senza guide né carte, né viveri, con i paesi resi ormai inaccessibili dall'arrivo dei soldati e con tutte le vie di fuga, sia verso Isernia che verso Piedimonte Matese e Benevento sbarrate dall'esercito (circa 12.000 uomini) che avevano ormai circondato tutto il territorio, la Banda fu costretta a tornare indietro, verso Rave la Noce, e fu catturata, senza opporre resistenza, presso la masseria Concetta, a tre miglia sopra Letino, da forze miste agli ordini del capitano De Notter. Furono portati nelle carceri di Santa Maria Capua Vetere (CE) e di Benevento.
Nell’agosto 1878 alle Assise di Benevento, si svolse il processo per la morte di un carabiniere ferito in una sparatoria ma deceduto per altre cause sopravvenute. Silvia Pisacane[1] intervenne presso Nicotera, divenuto Ministro degli Interni, a favore del gruppo di anarchici difesi dall'avvocato napoletano Saverio Merlino (Napoli 1856-Roma 1930) per cui fu completa l’assoluzione degli imputati, grazie anche all'amnistia per la salita al trono di Re Umberto I. La "banda del Matese" si disperse, poi, nel 1879 venne la famosa lettera "agli amici di Romagna" di Andrea Costa, che segnò, con la sua conversione al socialismo evoluzionistico e legalitario, una volta assai importante nella storia del movimento operaio italiano. Si arriverà poi alla costituzione, a Genova nel 1892, del primo partito dei lavoratori, dove ancor più netto si fece il distacco dalle concezioni anarchiche. Pur tuttavia essi appartengono alla storia del movimento operaio in Italia. Anche considerando la diversità della loro ideologia sono anche loro dei precursori del socialismo. La concezione libertaria ancor oggi presente nella sinistra italiana è, forse, quanto di vivo è rimasto del vecchio internazionalismo.
Emilio Sereni nel suo libro "Il capitalismo nelle campagne" definisce "infantilismo anarchico" questi fatti del Matese, che sono stati ricordati dal Masini in "Gli internazionalisti: la banda del Matese" (1876-78).
Diversamente dai lavoratori dei campi della Spagna meridionale - scrive Woodcock - quelli dell'Italia meridionale si rivelarono refrattari al messianismo libertario, e in Italia l'anarchismo doveva rimanere un movimento limitato quasi esclusivamente alle città "minori". Il fallimento dell'impresa nel Matese ne fu l'esempio lampante.

 


[1] Alla famosa spedizione di Sapri di Carlo Pisacane prese parte anche un certo Antonio Pianese di Francesco, tornitore di anni 28, nato a Piedimonte d'Alife ma domiciliato a Napoli, militare in punizione presso il carcere di Ponza, da dove insorse ed assieme ad altri si aggregò al Pisacane.(Fonti: Atto di accusa proposta dal procuratore generale del Re presso la Gran Corte criminale del Principato Citeriore contro Giovanni Nicotera ed altri molti detenuti imputati degli avvenimenti politici verificatisi in Ponza,Sapri e Salerno. Salerno 1857; Paper relative to the imprisonment of the engineers, watt e park at Salerno, Presented to both Houses of Parliament by Command of Her Majesty, 1857. London, printed Harrison and sons; ACCOUNTS AND PAPERS THIRTY VOLUMES. STATE PAPERS. NAPLES AND SARDINIA. Session 3 December 1857 - 2 August 1858. VOL. LIX. 1857-58).
 

 

Lettera da Tokyo sull'avventura del Matese, di Misato Toda.
Misato Toda è una docente universitaria giapponese, che ha studiato la nostra lingua proprio per poter conoscere il pensiero e la storia di Errico Malatesta, un cui opuscolo (Fra Contadini) in giapponese le capitò di ricevere in dono da un vecchio anarchico circa 30 anni fa a Tokyo, nel corso di una riunione. Da allora Misato è stata spesso in Italia, studiando a Napoli presso l’Istituto di Storia del Risorgimento e dell’Età Contemporanea (presso la Facoltà di Lettere), ha scritto numerosi saggi ed un libro (Errico Malatesta da Mazzini a Bakunin, Napoli 1988), allargando i suoi interessi dalle vicende di Malatesta negli anni ’70 ed ’80 del diciannovesimo secolo a personaggi dell’antifascismo quali Piero Gobetti, Carlo Rosselli e Camillo Berneri. Ha più volte collaborato con la Rivista Anarchica Online, raccontando – è stato il suo scritto più recente su “A” – il suo incontro a Montevideo con Luce Fabbri.
A Misato, anarchica e zen-buddista, è stato chiesto un breve scritto sul significato storico oggi della “Banda del Matese”.)

 

"Sette anni dopo la Banda del Matese, nel 1884, Errico Malatesta pubblicò Fra contadini, il più famoso opuscolo suo, che è stato tradotto in varie lingue, non soltanto europee ma anche in cinese e giapponese ed è apparso anche nel continente “nuovo”: Stati Uniti, Argentina, Uruguay, Brasile, dove lavoravano immigrati italiani e spagnoli. Questo opuscolo ancora oggi appare in tutto il mondo come un classico dell’anarchismo.
Il lavoro di Malatesta illumina il motivo del Banda del Matese, come il primo esempio del “propaganda del fatto”. Vi si racconta di un altro mondo, un mondo alternativo, che si può costruire con l’amore e la volontà umana. Ma prima di tutto è indispensabile cambiare il concetto vecchio dentro di te e di me, accorgersi del preconcetto che non nasce nel mondo dei lavoratori ma in quello dei padroni, i quali vogliono sempre, storicamente, è governare da sopra con il potere e sfruttare il risultato del lavoro altrui. I padroni, infatti, rubano la ricchezza comune sia dai contadini che dagli operai, sia dagli uomini che dalle donne, sia dai giovani che dai vecchi, e si godono i loro privilegi fondati sul sudore e sul sangue dei lavoratori. È su questo preconcetto si costruisce la società attuale, vale a dire su una mitologia, perché storicamente in ogni popolo c’è bisogno di mitologia per persuadere il popolo a farsi governare. Il primo compito per i lavoratori è accorgersi quale sia la mitologia ed a chi serva.
In quei sette anni dopo la Banda del Matese, Malatesta era vissuto fuori d’Italia: Egitto, Turchia (molto probabilmente), Romania, Svizzera, Francia, Belgio, Inghilterra. Con una ricca esperienza, una vasta cultura internazionale, ormai maturo con i suoi 31 anni, Malatesta poteva e doveva esprimere il motivo della Banda del Matese per illuminare tutti i popoli del mondo, in modo da chiarire la struttura sociale della società e da smontare il preconcetto che dominava la mente dei lavoratori – che sono poi quelli che davvero producono la ricchezza umana.
Nel 1877 a Letino e Gallo, la “banda del Matese”, con alla testa Carlo Cafiero, Errico Malatesta e Pietro Cesare Ceccarelli, proclamò “la rivoluzione sociale” e dichiarò “la terra appartiene a chi la coltiva”, bruciò i catasti in quei municipi e distrusse la bilancia che serviva per determinare la tassa sul macinato ai mulini. Entrambi erano il simbolo dello sfruttamento da parte del potere, politico ed economico. La gente capiva così che “la rivoluzione sociale” era un fatto tangibile. Ecco la “propaganda del fatto”, rivolta anche a gente che non sapeva nemmeno leggere – come accadeva allora per la gran parte degli sfruttati.
Oggi su iniziativa del Club Alpino Italiano un gruppo di persone, donne e uomini, di varia età, ha seguito le orme dei 27 anarchici, uomini onesti che non furono incantati dalla mitologia del padrone, cioè del sistema dello stato moderno europeo di allora, che oggi si è trasformato nel padrone internazionale, con l’allargamento dello sfruttamento globale.
L’esperienza fresca, oggi, la possiamo rivivere nella nostra immaginazione, leggendo Sulle tracce degli internazionalisti, queste impressioni di viaggio che Vincenzo Argenio, cronista ufficiale della manifestazione, ha scritto per la rivista “A”.
Nel maggio 1977, nel centenario della Banda del Matese, anch’io ho girato, con la macchina della mia amica beneventana, per il Matese e ho visitato i paesi di San Lupo, Letino e Gallo. Dopo essere ritornata a Tokyo, ho mostrato alle mie studentesse (all’Università Giapponese delle Donne) le diapositive a colori sul Matese, mentre raccontavo loro la storia. Poi ho chiesto le loro impressioni.
La risposta rappresentativa della prima impressione è stata per me inaspettata: “Siamo rimaste stupite che proprio in quel contesto naturale così bello siano successi tali eventi giganteschi di rivolta”. Infatti anche nelle diapositive la natura beneventana in maggio appariva veramente incantevole.
Oggi i partecipanti, con il loro sudore e la loro fatica, si affezionano ai sassi, agli alberi, ai fiori, alla neve, che a ogni loro passo si mescolano con il sudore e la fatica e l’affetto dei nostri 27 della storia di 125 anni fà. Le esperienze in comune, di allora e di oggi, arrivano così a noi e sembrano come mescolarsi nella nostra sensazione e simpatia, rispondendo all’eco che arriverà a tutta l’umanità oggi e nel futuro..
Quindi la manifestazione realizzata il 5-6-7 aprile 2002 da queste persone, riprendendo il filo storico che conduce ad un mondo alternativo in cui tutti siano felici e si godano la pace, come Malatesta sognava, si trasforma in una “propaganda del fatto” a modo loro. Il tentativo con la volontà originale ci invita ognuno ad inventare in qualche modo la propria “propaganda del fatto” nel mondo attuale, dovunque noi viviamo.
Con saluti affettuosi dal Giappone".

   
 

La "Banda del Matese": Ardinghi Leopoldo, Bennati Giuseppe, Bezzi Domenico, Bianchi Alamiro, Buscarini Sisto, Cafiero Carlo, Castellazzi Luigi, Ceccarelli Pietro Cesare, Celoni Sante, Conti Ugo, Cornacchia Antonio, Costa Andrea, Facchini Ariodante, Gagliardi Pietro, Ginnasi Francesco, Grassi Gaetano, Innocenti Massimo, Kravchinsky Sergius Mikhailovich (detto Stepniak), Lazzari Angelo, Lazzati Umberto, Malatesta Errico, Matteucci Florido, Pallotta Carlo, Papini Napoleone, Poggi Domenico, Poggi Luigi, Scalzone Oreste, Sbigoli Domenico, Spuri Sisto, Starnari Antonio, Volponi Giuseppe.