Il Brigantaggio alla Frontiera
Pontificia dal 1860 al 1863
del Conte Alessandro Bianco di Saint-Jorioz
Daelli e
C. Editori, Milano 1864, p.313-317
É però qui luogo di narrare come un tal Carlo Mayer
fosse arrestato a Formia, e quivi fucilato
con due de’ suoi compagni.
Era costui un avventuriero Sassone, fattosi
seguace, come tant’ altri dell’ex-re, non so se per procacciarsi la pagnotta,
ovvero per ispirito di partito e per politiche convinzioni. Una mattina, poco
dopo 1’alba, due soldati dell’11° fanteria, portandosi da Formia a Maranola per
iscortare i viveri di quel distaccamento, videro in lontananza quattro
individui con valigiette sugli omeri a guisa di artistici viaggiatori,
avanzarsi circospetti pe’ sentieri malagevoli di quelle ripide montagne, intenti
ad evitare la stradicciuola migliore che conduceva a Formia e dirigentesi
piuttosto verso Castellonorato e Spigno.
Le strade scelte essendo tutt’ altro che favorevoli
al viaggiare, i due nostri fantaccini messi in sospetto, si appiattarono dietro
alcuni grossi cespugli spinosi, aspettando i quattro individui al varco. Giunti
i viaggiatori a poca distanza da essi, si scopersero e gridarono alt. Mayer, che era il capo fila, e
quello che il seguiva immediatamente diedero mano ai revolvers che avevano alla
cinta, ma i due bravi dell’11° spianando il fucile avvertirono che se una sola
mossa avessero fatta li avrebbero stesi al suolo.
I due viaggiatori esterefatti indugiarono allora
prontamente; uno dei due soldati intimò loro di abbassare le armi e fare tre
passi indietro. Ubbidirono.
Raccolte le armi, i soldati intimarono ai quattro
individui di camminare, e questi nuovamente ubbidirono, forse inscienti della
sorte che li aspettava. Ma rinvenuti in loro e dopo aver fatti poco più di
trecento passi si fermarono tutto ad un tratto, ricusando di proseguire verso
Maranola, e dimostrando invece desiderio di andare a Spigno. I due fantaccini
però non eran di tempra a lasciarsene imporre, quindi rinnovarono l’intimazione
di marciare ove designavano: ma dopo altri pochi passi fuvvi altra fermata ed
altra titubanza; anzi Mayer fece alcuni passi verso uno dei suoi che portava
una delle valigie, mostrando di volervi prendere qualche cosa (in quella
valigia furono poi trovati altri due revolvers); allora uno dei due soldati,
cioè il più anziano, fatto mettere 1’altro a punt tolse la bretella al proprio fucile e con quella legò le mani
al Mayer dietro la schiena; poscia levatasi la cinghia dei pantaloni assicurò
con questa 1’altro individuo, che sin dal principio aveva impugnato 1’arma
insieme al Mayer; quindi postosi alla sua volta a punt col proprio fucile, fece che il primo legasse gli altri due
colla cinghia dei suoi pantaloni e con quella del suo fucile.
Assicurati così i quattro individui, e posti i
fardelli sull’asinello che portava i viveri a Maranola s’incamminarono di nuovo
a quella volta. Dovettero però fermarsi parecchie volte per la sempre crescente
esasperazione del Mayer che rifiutava d’andare avanti, e si dibatteva come un
ossesso. Raggiunti infine da una pattuglia, a caso sortita da Maranola,
poterono condurre i prigionieri in questo paese, assicurandoli al Corpo di
guardia. Quivi subirono dal Sindaco e dall’Ufficiale che comandava il
distaccamento il primo interrogatorio. Carlo Mayer si disse viaggiatore per
diporto e per vaghezza d’emozioni, una specie di poeta e di artista, che amava
percorrere le montagne per dipingerne le bellezze ed esaminarne le rovine
romane; il secondo disse chiamarsi Marco Quintigliano di Patarico, provincia
dell’Aquila, ed esser servo del Mayer, poscia garzone di trattoria a Roma:
andava, a quanto disse, a Sant’Agata di Sessa, ove doveva trovare un tale
Ambrogio che avrebbe pensato a collocarlo; il terzo (che era quello che insieme
al Mayer impugnò le armi alla vista dei due soldati) era un tal Nicola Zappa di Piedimonte d’Alife, il quale disse di aver fatto parte della banda
del caporale Gioacchino (?) composta da settanta briganti: si era unito al
Mayer ed al Quintigliano per portare il bagaglio. Il revolver che imbandiva
eragli stato dato dal Mayer, il solo pugnale era suo; il quarto finalmente,
certo Pezza d’Itri, un caffone della più brutta specie, dal nome celebre negli
annali del brigantaggio, e parente a Fra Diavolo e ad un Prefetto napoletano
tuttora in carica ed in odore di santità…..di principi liberali (!?...) era
stato preso e pagato dal Mayer per portare la sua seconda valigia. Come
anteriormente ha detto Mayer, e l’altro Zappa, avevano due revolvers per
ciascuno appesi alla cintola. Esaminate le valigie si rinvennero altri due
revolvers, un migliajo di proclami a stampa in cui si eccitavano i contadini
della Campania ad insorgere, alcuni stili, molte coccarde borboniche, un
involto di galloncini d’oro per distintivi di berretto, una coppola militare, e
vari oggetti di biancheria.
Il Mayer poi
aveva sopra di sè un portafogli pieno di memorie, una bibbia, ed una elegante
catenella d’oro a cui pendevano quattro piccole decorazioni d’oro e di smalto,
una delle quali papale, le altre tre borboniche.
Furono condotti a Formia tutti e quattro; subirono
colà un nuovo interrogatorio, nel qua1e confermarono tutto ciò che prima
avevano detto. Mayer e lo Zappa, cioè i due che avevano impugnate le armi
all’incontro dei soldati, furono fucilati, gli altri due rimessi al potere
giudiziario.
Prima di subire la fucilazione, Carlo Mayer chiese
di poter scrivere all’ Ambasciatore Sassone a Parigi, signor Di Seebach, e gli
fu concesso. Questa lettera, che egli consegnò aperta, nulla aveva che
importasse: la chiusura sola però merita attenzione: “ E’ da gran tempo, egli scriveva,
che io vagheggio una morte simile a quella che oggi i Piemontesi mi danno!!
“
Egli morì da uomo coraggioso in piedi, gli occhi
sbendati, e volle egli stesso profferire il comando: fuoco.
L’ altro fu portato dl peso sul luogo della
esecuzione, tanto era avvilito e prostrato.
Ciò accadeva il 29 maggio 1862. Esaminando le carte
del Mayer fu a caso rinvenuta, in un angolo di un foglietto del suo Dizionario
tedesco, la parola KALKREUTH, scritta in carattere germanico e quasi impercettibile.
Questo nome non era nuovo, ed esaminato l’Archivio del Comando della zona, si
rinvenne una lettera del colonnello Lopez del 41° fanteria, scritta da Sora l’l1
gennajo 1862, in cui era detto: “Ricevo
dal Comitato Romano la notizia che jeri è partito da Roma un tal Kalkreuth,
Sassone, che si fa chiamare CARLO MAYER. Egli è latore di carte importanti dirette al partito borbonico, e di
moltissimi proclami a stampa.”
Furono allora fatte molte ricerche, ma sfuggì ad
ogni sorveglianza. Anche a Napoli, ove il Comando della zona aveva telegrafato,
furono fatte perquisizioni ed indagini, ma non riuscirono. Era riservato ai due
bravi soldati dell’11° fanteria lo arrestarlo nella sua seconda intrapresa, e
nel modo singolare che abbiamo veduto.
Kalkreuth oltre al falso nome di Carlo Mayer era
pur conosciuto presso ai borbonici sotto il nome più poetico e romanzesco di Conte Edwino, e molti dei proclami
incendiarj di quell’epoca sono sottoscritti con questo nome, e si pone come
capo delle legioni che saranno per insorgere alla sua chiamata.
I due soldati dell’ 11° furono decorati della
Medaglia d’argento al valore. Colui che più s’adoperò e pel primo legò il Mayer
era un soldato anziano dell’alta Italia 1’altro, una recluta dell’isola di
Sardegna, venuto da poco tempo dal Deposito, e che in questa circostanza si
adoperò da vecchio soldato.